I ragazzi che da tre settimane la occupano, e che da molto più tempo cercano di denunciare lo “scandalo degli alloggi”, come lo chiamano loro, raccontano l’odissea dei fuori sede, perché “prova tu a studiare se non sai dove andrai a dormire”
“I posti ci stanno, perché non ce li danno?”. Il cartellone di dieci metri, nero e arancione, è la prima cosa che vedi appesa al dormitorio De Lollis, a due passi dalla Sapienza. Ma i ragazzi che da tre settimane lo occupano, e che da molto più tempo cercano di denunciare lo “scandalo degli alloggi”, come lo chiamano loro, questa sera non hanno voglia di parlare. Alessandro e Federica, che giovedì mattina invitavano i giornalisti a “fare un giro dello studentato per vedere che è perfettamente agibile, eppure l’ente competente si rifiuta di assegnarlo a chi ne ha diritto”, solo qualche ora dopo perdono la voce. La perdono nelle cariche della celere, schivando le bombe carta. Gli studenti tornano al De Lollis a manciate, quando già è buio. Si calmano al ritmo di sigarette divorate e poi accartocciate nei fondi di bottiglie di plastica verdi. E si decidono, solo alla fine, a raccontare l’odissea dei fuori sede, perché “prova tu a studiare se non sai dove andrai a dormire”.
Nel piccolo mondo del De Lollis tutti gli occupanti hanno qualcosa in comune. Intanto, il diritto (su carta) di stare lì: “Ci siamo tutti conquistati una borsa di studio”. Poi il fatto di essere “idonei non vincitori”: cioè quelli a cui non è stato assegnato un alloggio, pur essendo in possesso dei requisiti di merito e di reddito previsti, per mancanza di disponibilità.
La stanza promessa
Mogi e Dariush, 27 anni il primo, 20 appena compiuti il secondo, sono arrivati in Italia convinti di avere una stanza a disposizione. “Ci siamo conosciuti nell’aeroporto di Teheran e siamo andati insieme negli uffici di Laziodisu (l’ente per il diritto agli studi universitari nel Lazio, ndr) per recuperare le chiavi di casa. E lì abbiamo scoperto che di posti non ce n’erano più”. Mentre raccontano i loro primi tre mesi a Roma, Dariush apre la porta della camera occupata al terzo piano del De Lollis. All’entrata, il numero della stanza è scritto su un foglietto e attaccato al muro con lo scotch. Dentro, oltre a tre merendine su una mensola, manca tutto, anche il letto: “Ci dobbiamo ancora organizzare. Però abbiamo luce elettrica e un bagno grande”.
Mogi, che alla Sapienza studia Comunicazione, è atterrato a Fiumicino con 3.000 euro in tasca. “Io ne avevo un po’ meno – dice Dariush, studente di Lingue – e non posso contare sulla mia famiglia. Sono semplici insegnanti, e per comprare un euro servono quasi quattro rial iraniani. Quando abbiamo saputo che non avevamo un posto per dormire siamo andati a cercarne uno in affitto, sapendo che avremmo potuto permettercelo solo per qualche mese”. E poi? “Poi per fortuna gli studenti del collettivo ci hanno accettati qui”. La camera in affitto, Dariush e Mogi la trovano nel quartiere Monte Sacro, a nord-est della Capitale: “500 euro al mese per una doppia”. Racconta Federica, tra le organizzatrici dell’occupazione al De Lollis: “Capita spesso che freghino gli stranieri, soprattutto se parlano male l’italiano. Che l’Ente li lasci soli è grave. Abbiamo quasi 90 mila studenti fuori sede a fronte di una disponibilità di appena 1500 alloggi pubblici. Siamo i soli in Europa a essere messi così male ”.
Ed è per questo, raccontano, che il 19 novembre il collettivo ha occupato questa palazzina di cinque piani: “Doveva essere pronta lo scorso marzo. I lavori li hanno terminati ma non hanno i soldi per arredarla. Con questa scusa la tengono chiusa da mesi: ma noi preferiamo comprarci un materasso che pagare centinaia di euro di affitto”. Intanto, al piano terra, i ragazzi hanno organizzato un’aula studio e un piccolo ufficio stampa. Nelle stanze pensate per gli studenti disabili, e inutilizzabili per via di un gradino spesso qualche centimetro piazzato proprio all’entrata della camera (“per entrare con la carrozzella dovrebbero prendere la rincorsa”), dormono per ora le matricole. Il wi-fi se lo sono installati da soli: “Ogni giorno andiamo sul sito di Laziodisu per vedere se ci sono novità”, racconta Dariush. “Devo inserire il mio codice, 199, e sperare che mi assegnino un letto prima che il De Lollis venga sgomberato. In pratica io e Mogi dipendiamo da un computer”. Ma basta ascoltare gli altri studenti per capire che gli abusivi del De Lollis non sono, almeno per ora, quelli messi peggio. “I dormitori della Sapienza io li ho girati tutti. E non avete idea di cosa ho visto”, dice Alessandro.
La fregatura dei laureandi
25 anni, di Lecce, Alessandro, a voce sempre bassa, racconta “la fregatura dei laureandi”. Tra i migliori del suo corso – studia Economia – Alessandro è riuscito a farsi assegnare un alloggio sin dal primo giorno di università: “Proprio adesso che sto per finire, nonostante io sia perfettamente nei tempi con gli esami e la tesi, l’Ente ha deciso che devo pagare 150 euro al mese. La mia camera è minuscola, il mio letto è attaccato a quello del mio compagno di stanza. Non abbiamo neanche la cucina: solo due fornelli, di cui uno rotto. Laviamo i piatti nel lavandino del bagno. E in più è vietato avere ospiti, anche se è tua madre”. Converrebbe quasi – sostiene Alessandro – affittare una stanza vicina all’università, pagando magari un po’ di più: “Almeno sarebbe una casa vera, dove se vuoi chiedere a tuo fratello di restare a cena, puoi farlo”.
Prima di sbarcare al Mandrione (“i soldi me li dà mia madre, se non fosse per lei non potrei laurearmi”), Alessandro è stato costretto a cambiare alloggio all’inizio di ogni anno scolastico. “Ogni settembre ci sono i nuovi bandi”, racconta. Tra gli altri, è passato dallo studentato di Ponte di Nona (“è fuori dal raccordo anulare, ci vogliono quasi tre ore con i mezzi per arrivare all’ateneo”) e da quello di Valle Aurelia, che ospita 180 ragazzi: “Sembra un ospedale, con i suoi corridoi lunghissimi, il pavimento grigio, le porte blu elettrico. Non ci sono finestre. Gli unici spazi comuni sono le cucine. È un luogo demoralizzante, fa paura”. Ma il posto peggiore, giura Alessandro, resta il Civis, vicino allo stadio Olimpico (quindi lontano dall’università) dove ha vissuto per tre anni. 250 studenti per ogni ala, i bagni in comune – uno per corridoio – e gli scantinati che si allagano ogni volta che piove.
“Ma il problema maggiore è quello della sicurezza – insiste lui – perché il palazzo è stato costruito negli anni Settanta e mai ristrutturato. Non ci sono nemmeno le uscite di emergenza. Infatti dicono che è inagibile, e che per questo non possono assegnare le stanze gratis agli aventi diritto. Sapete invece che cosa fanno? Le affittano. A prezzi di mercato”.