Chi uccise il presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi e per quali motivi, nonostante i 31 anni trascorsi? Sono domande a cui ancora non è stata data risposta definitiva. E accanto alle indagini della magistratura, che proseguono, non si arrestano nemmeno le richieste di un figlio, Carlo Calvi, perché non ci si arrenda alla mancanza di elementi, ma si continui a scavare. Questa è una storia che torna oggi con la richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero romano Luca Tescaroli, e il fascicolo è quello aperto nel 2008 in cui risultano indagati Licio Gelli, Flavio Carboni, Francesco Pazienza, Maurizio Mazzotta e Hans Albert Kunz, oltre al camorrista Vincenzo Casillo, ucciso nella capitale il 29 gennaio 1983, ma presente nel documento del pm perché ritenuto uno degli esecutori del delitto nonostante fosse morto qualche mese dopo il banchiere.  

“Molto probabile coinvolgimento Gelli, ma non prove certe”. Secondo il pm, indizi ce ne sono abbastanza da “ritenere molto probabile” un coinvolgimento di Gelli nell’omicidio di Calvi, il cui cadavere fu trovato il 18 giugno 1982 impiccato a Londra, sotto il ponte dei Frati Neri. A questi si aggiungono “validi moventi” che tuttavia “non hanno raggiunto il valore di prove certe”.

Di qui la richiesta di archiviazione e il gip, per decidere, dovrà tenere conto anche dell’opposizione presentata dal figlio della vittima, Carlo, per il quale occorre stabilire “l’indispensabile legame mancante tra il processo milanese sulla bancarotta dell’Ambrosiano e il processo romano per l’omicidio di mio padre”. Oltre che ai magistrati romani, il documento contro l’archiviazione è stato inviato anche ad altri inquirenti che, più o meno direttamente, si sono occupati della vicenda, come il sostituto procuratore generale Otello Lupacchini e il pubblico ministero Enrico Cieri, titolare a Bologna dell’inchiesta sulla strage alla stazione del 2 agosto 1980 (85 morti e 200 feriti).

Il delitto e il ruolo degli indagati. Il fascicolo di Tescaroli nasce dopo che, il 6 giugno 2007, Flavio Carboni era stato assolto in primo grado per il delitto Calvi. Stessa sorte (divenuta definitiva per tutti) anche per gli altri imputati in quel processo, Pippo Calò, Ernesto Diotallevi e Silvano Vittor. Il pubblico ministero voleva allora verificare se fosse possibile acquisire ulteriori elementi sull’omicidio stesso (ruolo degli indagati e movente) e sui rapporti intercorsi tra coloro che erano già stati processati, gli indagati attuali e altri personaggi che avevano parlato del delitto, come il boss di Cosa Nostra Gaetano Badalamenti e il pentito Francesco Di Carlo. Intanto il pubblico ministero romano cassa per l’ennesiva volta l’ipotesi del suicidio del presidente dell’Ambrosiano, sostenuta dopo il ritrovamento del cadavere. A comprovarlo sentenze precedenti, i rilievi tecnici e le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia che hanno parlato di “messa in scena tale da far sembrare che Calvi si fosse ucciso”. E sempre in tema la richiesta di archiviazione cita frasi di Licio Gelli, secondo il quale il banchiere era “stato suicidato”, e di suo figlio Raffaele, che parlò di “esecuzione di un piano ben preparato per togliere di mezzo un testimone scomodo”. In merito al ruolo giocato dal capo della P2, il pm Tescaroli cita quanto hanno detto pentiti come Francesco Marino Mannoia. In base alla versione confermata in più interrogatori, Calò, Totò Riina, Francesco Madonia “e altri avevano somme di denaro investite a Roma attraverso Licio Gelli” e “parte di questo denaro era investito nella banca del Vaticano”. Ulteriori dichiarazioni a suo carico sono arrivate nel corso del tempo da altri pentiti, questa volta di camorra, come Pasquale Galasso e Antonio Cutolo. Dal canto suo, il venerabile di Arezzo si è difeso negando di aver conosciuto i suoi coindagati, ma l’ipotesi degli inquirenti è che potesse aver indotto Calvi a rifugiarsi a Londra ventilando un nuovo e inesistente mandato di cattura nei suoi confronti. Perché? Sempre secondo l’accusa, per “evitare che Calvi potesse esercitare il suo potere ricattatorio e svelare i segreti di sua conoscenza”, ma anche per “punire il banchiere, colpevole di essersi appropriato di denaro che gli apparteneva”. Il ruolo di Kunz, invece, sarebbe quello di aver organizzato e fornito supporto logistico all’espatrio e al soggiorno londinese di Calvi, ma una serie di fattori, tra cui il mancato accoglimento di una rogatoria internazionale, non hanno consentito di provare il suo ruolo nell’ideazione del progetto criminale. In merito a Francesco Pazienza e al suo segretario, Maurizio Mazzotta, risulta provata la loro presenza a Londra nei giorni precedenti l’omicidio e provati sono anche contatti telefonici con Flavio Carboni. Ci sono poi somme da milioni di dollari dell’Ambrosiano di cui hanno beneficiato e il ruolo avuto nell’esportare denaro in Polonia, per sostenere le attività del sindacato Solidarność. Nel loro caso, le rogatorie con le Bahamas hanno portato a risultati ritenuti “parziali” e comunque, per il pm, mancano “elementi significativi”. Infine considerazioni analoghe vengono formulate anche per Carboni, che accompagnò Calvi in quell’ultimo viaggio, ma che è già stato assolto in un altro procedimento dalla stessa accusa, per quanto formula dubitativa.

L’opposizione del figlio di Calvi. Carlo Calvi da anni si batte per sapere esattamente chi uccise il padre e per quali ragioni. Lo fa anche adesso presentando opposizione alla richiesta di archiviazione inviata dal Canada, dove vive, a Roma, e lo fa concentrandosi soprattutto su Gelli. Esordisce citando alcuni passaggi di Tescaroli in base ai quali “la soppressione del banchiere avrebbe potuto assicurargli l’impunità per la bancarotta del Banco Ambrosiano”, fatto non avvenuto (il capo della P2 è stato condannato per questo reato) perché era sopraggiunto un elemento non prevedibile al momento in cui il delitto venne ideato: “Parte del denaro percepito da Gelli era stato congelato dalle autorità elvetiche”. La ricostruzione del figlio di Calvi riassume in sedici pagine flussi di denaro che viaggiano per mezzo mondo, dalla Svizzera a Nassau, chiama in causa il ruolo di altri piduisti (tra cui Umberto Ortolani e il segretario generale della Camera Francesco Cosentino), cita il cosiddetto “documento Bologna” trovato addosso a Gelli al momento dell’arresto e sul quale sono riportati bonifici dell’estate 1980 per 15 milioni di dollari che non riguardavano, come ritenuto in passato, la corruzione della Guardia di finanza perché al presidente dell’Ambrosiano fosse restituito il passaporto. Presenta schemi, produce pagine di rubriche telefoniche e ricorda indagini precedenti condotte da Vittorio Occorsio, assassinato nel 1976, Ferdinando Imposimato, Giuliano Turone, Gherardo Colombo, Elisabetta Cesqui ed Emilio Gironi, il giudice istruttore che indagò sulla strage del 23 dicembre 1984 in cui era coinvolto Calò. Insomma lo sforzo è quello di ricostruire, per quanto in modo conciso, quali sarebbero stati i vantaggi per Gelli e per i suoi presunti sodali dalla morte di Calvi. E ribadisce che si cerchi quel nesso mancante tra i due principali filoni processuali, il crac del Banco Ambrosiano e la ricostruzione dell’omicidio.

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