Un dipendente pubblico che si scopre essere tossicodipendente conserva il suo posto di lavoro e anche se indossa una divisa non può essere licenziato. Il Testo unico sugli stupefacenti, una legge del 1990, sul piano dell’occupazione di chi cade nel tunnel della droga, pone precisi criteri di tutela. Anche attraverso la loro applicazione il Tar della Lombardia, la settimana scorsa, ha accolto il ricorso di un militare della Guardia di finanza che il suo Comando generale voleva espellere, una volta scoperto che lo stesso era un “episodico assuntore di eroina”.
Ma soprattutto, saputo che quel militare mentì ai componenti di una pattuglia della Polizia di Stato che lo avevano fermato e identificato, dicendo loro di trovarsi in servizio, mentre, in realtà, stava trattando per l’acquisto di un paio di dosi da uno spacciatore extracomunitario. Di conseguenza la Guardia di finanza non riteneva ammissibile mantenere in servizio un proprio dipendente “per il quale – si legge nella nota del tentativo di espulsione – era stato accertato l’instaurazione di rapporti di mercimonio con soggetti dediti a illecite attività”. Ma il Testo unico sugli stupefacenti, nel quale sono riunite tutte le normative a tutela del tossicodipendente sul posto di lavoro, rende un licenziamento molto complesso. Ad esempio è sancito che il lavoratore, “di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza, che intende accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione conserva il suo posto per il tempo del trattamento”. Nel suo ricorso il finanziere sotto accusa aveva precisato di essersi sottoposto ad un trattamento terapeutico che aveva avuto “esito positivo”. In più lo stesso segnalava che non gli erano mai state contestate “infrazioni o violazioni dei doveri connessi al servizio” nel periodo in cui aveva ammesso di assumere droghe. Considerando poi che il Testo unico del ’90 stabilisce una disciplina di natura rieducativa e non punitiva, la perdita del lavoro da parte del finanziere avrebbe avuto come conseguenza il fallimento del percorso di cura intrapreso. Ma Comando Generale delle Fiamme gialle ha optato per il pugno di ferro, volendo applicare al suo dipendente “la perdita del grado per rimozione”, privandolo così dello status di militare. Non si è in congedo, non si è proprio più un militare e si viene cancellato dai ruoli. Addio quindi a buonauscita e alla pensione. Ma secondo il Tar questa punizione avrebbe violato “il principio di proporzionalità”. “L’autonoma ammissione del proprio stato di consumatore occasionale – è scritto nella sentenza di accoglimento del ricorso – la volontaria sottoposizione a un trattamento terapeutico, la mancanza di contestazioni afferenti ad eventuali violazioni dei doveri di servizio, sono tutti elementi che depongono a favore di una sproporzione della sanzione espulsiva rispetto alla violazione perpetrata”. Dall’estate scorsa il finanziere è di nuovo in servizio, ma con “riserva”.