Terra dei fuochi, là dove anche i debiti dello Stato diventano monnezza. Non bastano otto stanze e un chilometro e 300 metri di armadi per contenere i fascicoli delle cause per l’emergenza rifiuti in Campania. Una montagna di carte ancora da scalare, col liquidatore di Stato che apre le braccia e ammette: “Col senno di poi, non consiglierei a nessuno di lavorare per lo Stato”. Ora chi brucia rifiuti rischia il carcere, ma per quelli bruciati nessuno ha pagato: lo Stato pattina oggi su un gigantesco contenzioso con oltre tremila imprese, professionisti ed enti pubblici che ha chiamato a rimuovere rifiuti dall’11 febbraio 1994 al 31 dicembre 2009, quando l’emergenza si è ufficialmente chiusa, almeno sulla carta. Ma di emergenza c’è n’è un’altra perché, a distanza di vent’anni, il conto è ancora da saldare anche a fronte di crediti certi ed esigibili. L’eredità contabile della Terra dei Fuochi, tra debiti delle strutture commissariali e ammassi passivi dei creditori rischia di portasi via un bel pezzo del bilancio dello Stato: oltre tre miliardi di euro, l’equivalente di tutto quello che il governo Letta ha messo sul piatto della crescita nella Legge di stabilità.
Un lampo sulla voragine arriva dal bunker dell’Unità tecnico-amministrativa della Protezione Civile a Castel Capuano (NA). E’ il pozzo senza fondo dei debiti che la Presidenza del Consiglio e le gestioni commissariali hanno scavato in vent’anni di tentativi di gestire l’emergenza. Qui Nicola Dell’Acqua, direttore generale della Protezione Civile e capo dell’Unità stralcio che si occupa di definire le situazioni debitorie, ha iniziato a concentrare i fascicoli pendenti sparsi per mezza Campania. Alcuni erano stipati negli scantinati della Regione quando il commissario era governatore, altri nelle sedi della Protezione Civile. Ora sono (quasi) tutti lì, lungo le pareti di otto stanze in via Concezio Muzy, e altre cinque sono in fase di allestimento per far posto a nuovo materiale in arrivo: una babele di carta tra ricorsi, cause, contratti, ingiunzioni, pareri dell’avvocatura. E di soldi. Per questo la struttura, appena prorogata dal governo con il decreto sulla Terra dei Fuochi, è stata rinforzata da quattro avvocati messi a disposizione dall’avvocatura di Stato. Obiettivo? Pagare il meno possibile.
Alla fiera del credito-monnezza. Lo Stato non paga da 20 anni ma chiede lo sconto. Prendere o lasciare.
A gennaio c’è stato un piccolo ma significativo passo avanti, che getta però un’ombra lunga e scura sull’epilogo di questa storia. Dopo due anni di lavoro, il 23 gennaio scorso è stato pubblicato il piano di estinzione dei crediti residuali ammessi alla “massa passiva”: in sostanza, quei creditori “certi, liquidi ed esigibili” che – fatture e contratti alla mano – sono stati ammessi alla liquidazione e quindi pagati. Spulciando l’elenco dei 180 nominativi, con importi richiesti e liquidati, emerge una sorta di grande fiera del credito deteriorato.
Tutto inizia con la pubblicazione di un “avviso” sulla Gazzetta Ufficiale e su quattro giornali, il 10 dicembre 2010: cari creditori, fatevi avanti e mettetevi in fila. Tempo 60 giorni, poi chi c’è c’è e a tutti gli altri un colpo di spugna. Ma anche chi l’ha letto ha poco da star allegro: l’avviso contiene già la notizia che, comunque vada, non tutti saranno pagati.
L’articolo 6 specifica infatti che il pagamento avverrà gradualmente “entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili”. In altre parole, niente da fare se il ministro (all’epoca, Tremonti) non apre il borsellino. Ed ecco la “soluzione”: secondo l’articolo 7 “coloro che hanno prodotto istanza di ammissione possono comunicare all’Unità stralcio la propria disponibilità a concludere atti transattivi relativamente al credito vantato”. Lo Stato chiede uno “sconticino”, dunque, che alla fine tale non sarà: messi uno in fila all’altro i crediti “certi, liquidi ed esigibili” valevano 132 milioni ma la cifra pagata dallo Stato sarà 62 milioni, meno della metà.
Gli importi non pagati variano da qualche decina a diversi milioni di euro in un colpo. Eppure tanti hanno accettato un’offerta che non potevano rifiutare, con tanto di liberatoria da ogni futura pretesa. E non solo perché aspettavano magari da 20 anni di vedere un soldo. La procedura ammette solo i crediti accompagnati da documentazione certificata: convenzioni, contratti, fatture, saldi, i Sir che attestino i singoli trasporti di rifiuti… Tutto timbrato e protocollato in originale. Carte non facili da produrre dopo decenni, perfino per i Comuni che, almeno in teoria, dovrebbero conservarle. Quello di Villa Literno, n.174 dell’elenco creditori, ha fatto istanza di insinuazione per 11,2 milioni. Diciannove anni dopo si è dovuta accontentare di 367mila euro. Quello di Napoli, n. 49 della lista, vantava crediti per 1,2 milioni, ne ha presi 364mila. Per lo Stato l’operazione si rivela un affare: solo 19 amministrazioni campane su 86 sono ammesse totalmente, le altre 67 solo parzialmente, con uno “sconto” per lo Stato (e un danno per loro) di 30 milioni. Non a caso quasi tutti i comuni hanno poi aumentato la Tarsu per riempire il buco. E chissà se gli amministratori saranno mai chiamati a risponderne. Poi ci sono le imprese. La Yuppies service di Modena, ad esempio, chiedeva 307mila euro per i suoi servizi ambientali. A distanza di cinque anni è stata costretta ad accontentarsi di 48mila euro. L’elenco è lungo. Per tanti un danno economico personale e patrimoniale. In alcuni casi lo “sconto” ha significato chiudere la ditta e licenziare gli operai. Alcuni crediti residuali a volte vanno a beneficio esclusivo del solo curatore fallimentare. Alla fine dei 180 in lista il 99% ha firmato la liberatoria e incassato le briciole. Un affare per lo Stato.
Tremila cause, ancora da quantificare i danni di immagine. E il liquidatore di Stato sconsiglia di lavorare per lo Stato
“Onestamente, col senno di poi, se dovessi dare un consiglio a un imprenditore gli direi di non lavorare con lo Stato”. A dirlo è Nicola dell’Acqua (foto a lato), commissario delegato dalla Presidenza del Consiglio a estinguere le passività dell’emergenza rifiuti. Non è un interno dell’amministrazione dello Stato, ha avuto incarichi per la sua competenza in materia di tariffe e parla con grande franchezza di quello che sta capitando a migliaia di imprenditori costretti ad accettare le briciole rispetto ai crediti attesi. “Ne ho visti tanti con gli occhi lucidi e le mani tremanti, che vengono qui e ci dicono “se ci date almeno il 30-40% chiudiamo il contenzioso ma sopravviviamo”. Per ciascuno, però, dobbiamo istruire la pratica, stabilire le priorità per non dare soldi random ed essere sempre oggettivi. E’ triste, tristissimo, vedere queste cose”.
Tremila creditori però non hanno aderito: “Tanti sono i fascicoli di causa che abbiamo – spiega il commissario Dell’Acqua – un volume incredibile, una mole di lavoro di quattro cause al giorno. Solo le ingiunzioni di pagamento sono per 12 milioni di euro. La mole complessiva del contenzioso non l’abbiamo ancora stimata, ma parliamo di circa 3 miliardi di euro, cui vanno aggiunti i costi per i danni di immagine ancora non quantificati”. Per esattezza 77,5 milioni sono i mancati ristori ambientali (il pagamento degli incentivi alla differenziata), 883 milioni di mancati pagamenti per servizi di trasporto, smaltimento rifiuti e rimozione percolato, 3 milioni per quelli di vigilanza dei siti di discarica. Quanti anni per estinguerli? “Difficile dirlo, molto dipenderà dallo sforzo con cui lo Stato difenderà se stesso. Adesso abbiamo dalla nostra l’avvocatura dello Stato sia a Roma che a Napoli e con la nuova legge sulla Terra dei Fuochi che ci ha prorogati è previsto il distacco di altri quattro avvocati, due di ruolo e due per le udienze brevi. Perché la cosa peggiore che può fare un’amministrazione ora è difendersi male”. E poco importa se a perderci saranno anche i legittimi portatori di crediti che lo Stato, con la sua inerzia, ha reso tossici come rifiuti.