L'eletto in regione ex Forza Italia ha testimoniato questa mattina nel processo a suo carico per difendersi dall'accusa di truffa aggravata davanti al giudice Paola Passerone
Tra le centinaia di politici finiti nella bufera per i rimborsi taroccati messi a carico delle casse pubbliche, Alberto Vecchi è stato probabilmente il primo ad affrontare un pubblico processo. Nella mattinata del 17 dicembre l’esponente del Popolo della libertà (oggi in Forza Italia), ancora in carica in consiglio regionale dell’Emilia Romagna, si è difeso dall’accusa di truffa aggravata davanti al giudice Paola Passerone. Secondo la pm della procura di Bologna, Rossella Poggioli, nel 2006, una volta eletto consigliere regionale, Vecchi spostò la residenza in maniera fittizia a Castelluccio di Porretta terme sull’appennino bolognese: grazie a questo cambio di residenza l’incasso in rimborsi viaggio è stato per il politico di circa 85 mila euro tra il 2006 e il 2011. Questo nonostante, secondo l’accusa, lui abitasse e dormisse regolarmente con la famiglia nel capoluogo.
Incalzato dal giudice Passerone, Vecchi ha ammesso in aula che a Bologna, assieme a moglie e figlioletto, dormiva “una notte alla settimana oltre a tutti i sabati e le domeniche quando non era in giro per l’Italia”. Ma poi ha giustificato la sua decisione di cambiare la residenza e spostarla sui monti: “A chiedermi di spostarmi in montagna fu l’allora responsabile provinciale Enzo Raisi, parlamentare di Alleanza nazionale, affinché mi occupassi di quella zona e perché poi mi candidassi a sindaco di Porretta”, ha spiegato l’imputato con un passato in An. “Avevo anche posto come condizione di fronte a questa richiesta di iniziare alcune attività lavorative lassù. C’era la possibilità di gestire a bando alcune piscine, che poi era il mio ambito lavorativo. Io volevo stare nel territorio e questo delle piscine e degli impianti sportivi era un modo per farlo”.
È stata tutta incentrata su questa giustificazione politica e lavorativa la replica alle accuse di truffa da parte di Vecchi, difeso dall’avvocato Guido Clausi Schettini. Dalla richiesta dell’allora partito di An insomma derivò per Vecchi la scelta di lasciare moglie e figlio di un anno nella casa di Bologna e spostare la propria residenza in uno stabile montano appartente alla famiglia Migliorini. Michele Migliorini, il figlio dei padroni di casa, è un consigliere comunale nella cittadina appenninica, vicino politicamente proprio a Vecchi e suo collega nella gestione delle piscine. Talmente amico del consigliere che della locazione dell’appartamento non esiste un contratto. “Non lo facemmo è vero. C’è solo una scrittura privata” spiega Vecchi. “Sa, tra amici”. Ma ci sono altre stranezze che per l’accusa significano che il politico quella casa l’abbia visitata raramente. In quell’ appartamento, in cui per lungo tempo i vigili di Porretta non trovarono mai nessuno per recapitare delle notifiche, non ci sarebbe mai andato nessuno in tanti anni. Mai un amico, mai un ospite per Alberto Vecchi: “Be’, chi mi voleva cercare lo faceva nel mio ufficio presso la piscina di Gaggio Montano (una di quelle gestite da una associazione formata da Vecchi e dallo stesso Migliorini, ndr)”, ha spiegato Vecchi in tribunale a Bologna.
La pm Poggioli durante l’esame dell’imputato, durato in tutto un’ora e mezza, ha chiesto il perché dell’assenza, oltre che del contratto, anche di utenze intestate a suo nome. “A Migliorini davo un forfait per le spese e poi per il riscaldamento avevo una stufa a legna. Certo perché la casa si scaldi c’è bisogno di una mezzora ora”, ha ammesso Vecchi. L’imputato ha anche spiegato il perché il suo cellulare non risulti mai, soprattutto durante le ore notturne, acceso nella zona di Castelluccio in tutti quegli anni: “Utilizzo una serie di cellulari, almeno 3- 4 utenze diverse intestate a mia moglie o alla piscina o ancora alla associazione sportiva di cui sono vice presidente”, ha spiegato in aula il consigliere regionale. Poi Vecchi, lasciando perplessa l’accusa, aggiunge una motivazione possibile al fatto che il suo telefono non risultasse mai acceso in montagna: “Quando un telefono è scarico o è in carica lo posso anche lasciare in Regione a caricare”. Insomma, spesso, tra il 2006 e il 2011, un consigliere regionale avrebe lasciato per serate e nottate intere il proprio telefono in ufficio.
La difesa di Vecchi punta molto sul fatto che in precedenza alla carica in Regione, nonostante fosse consigliere provinciale a Bologna e potesse avere diritto allo stesso tipo di rimborso, Vecchi non lo avesse richiesto. È tuttavia un dato di fatto che il cambio di residenza è praticamente contemporaneo alla elezione in consiglio.