Dopo oltre vent’anni, ieri, ancora una giornata passata in un’aula di tribunale, l’ennesima, ad aspettare una sentenza che potesse aggiungere un altro tassello alla verità: alla mia verità personale come figlia di una vittima innocente della mafia e alla verità storica e giudiziaria che ha attraversato vite e società nell’arco di un trentennio. Una verità irrinunciabile, ricercata con tutte le mie forze. Alle venti, dopo tre ore di camera di consiglio, il verdetto letto dal Gup di Messina, Monica Marino: Rosario Pio Cattafi è condannato a 12 anni di reclusione quale capo del sodalizio mafioso barcellonese e per la calunnia consumata ai danni dell’avv. Fabio Repici (il mio difensore: mi sono costituita parte civile con l’Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia, che presiedo) e del collaboratore Carmelo Bisognano.

Ieri nuove accuse, ancora fango, ancora sofferenza. Per l’ennesima volta, nelle parole dell’imputato al 41bis e del suo legale, forti invettive tese a denunciare un preteso complotto ordito da me e dall’avvocato Fabio Repici. Accuse e minacce rivolte a me e al mio legale. Calunnie che si spingono fino all’oltraggio della memoria: quella di mio padre, unico giornalista ucciso dalla mafia nella provincia di Messina. Cattafi è infuriato per le accuse di mafiosità, certamente, ma ancora più dai fatti emersi sugli eventi che seguirono la morte di mio padre. Circostanze legate alla pistola, a quella calibro 22 misteriosamente scomparsa; inquieto per l’essere stata richiamata alla memoria la storia di un magistrato, quell’Olindo Canali titolare delle prime indagini seguite all’omicidio di mio padre e delle sue “irrituali” iniziative in relazione al revolver “gemello” rispetto a quello utilizzato per l’uccisione di mio padre, acquistato in passato da persona molto vicina al Cattafi, tale Franco Carlo Mariani…fatti sui quali il Cattafi, secondo il suo legale “…non è detto che sappia, ma se pur sapesse non verrebbe a dirlo a voi…”.

In serata, finalmente, le parole confortanti del dispositivo, che accoglie un impianto accusatorio verificato e riscontrato nei dettagli, negli scorci di questo trentennio di consorterie mafiose, di rapporti deviati. Per la prima volta, la verità fissata nelle parole di una sentenza! L’imputato Cattafi riconosciuto quale vertice del sodalizio criminale barcellonese, anello di congiunzione tra Cosa nostra e le Istituzioni deviate, riciclatore di denaro sporco per conto di Cosa nostra, in stretto contatto con i servizi segreti. La mia richiesta di verità trasfigurata in “complotto” nelle parole dell’imputato e nelle tesi difensive sostenute dai suoi legali. Ore 20.00 in un’aula di tribunale: la verità tanto attesa, la verità che dopo tanti anni, tassello dopo tassello, non rinuncio a volere ricostruire. La battaglia continua e nessun colpo di coda potrà impedirmi di fare luce sull’omicidio di mio padre e sulla mafia barcellonese.

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