Il banchiere Gianpiero Samorì è tra le persone indagate dalla Procura di Roma nell’inchiesta relativa alla Banca Tercas, commissariata alcuni mesi fa da un decreto del Ministero delle Finanze su richiesta della Banca d’Italia per gravi perdite patrimoniali. Samorì è leader del Mir (Moderati in rivoluzione), formazione di centrodestra che alle ultime elezioni politiche era schierata con l’area politica di Silvio Berlusconi. Durante la campagna elettorale da più parti era stato definito come “il nuovo Berlusconi”. Il Nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di finanza ha sequestrato oltre 200 milioni di euro. L’operazione è avvenuta durante le perquisizioni che hanno riguardato la sede centrale di Banca Tercas, alcune filiali dell’istituto e le abitazioni private di una ventina di imprenditori indagati, ritenuti collegati all’ex direttore generale Di Matteo, arrestato all’alba di oggi.

Con la compiacenza del direttore generale Antonio Di Matteo, un gruppo di spregiudicati imprenditori si era di fatto impadronito della Banca sostenendo fittiziamente l’istituto di credito e ottenendo finanziamenti al di fuori dei protocolli di garanzia che non venivano restituiti. Gli altri 18 indagati sono gli imprenditori Francescantonio Di Stefano, del settore televisivo, Raffaele Di Mario e Cosimo Di Rosa (Gruppo Dimafin), Giampiero Samorì (assicurazioni), Antonio Sarni (settore autogrill), Pancrazio Natali e Pierino Isoldi (immobiliaristi). Tutti questi, insieme con Cinzia Ciampani, convivente di Di Matteo, sono accusati di associazione per delinquere finalizzata all’ostacolo delle funzioni di vigilanza, all’appropriazione indebita, alla bancarotta fraudolenta ed al riciclaggio. Gli altri indagati, per reati meno gravi, sono l’imprenditore Vittorio Casale (appropriazione indebita), Gabrio Caraffini, Lino Niisi, Gilberto Sacrati, Sergio Pellerey, Lucio Giulo Capasso, Saverio Signori, Paola Ronzio, Roberto Bertuzzo e Livio Filippi.

Nell’ordinanza di 80 pagine firmata dal gip Wilma Passamonti si sottolinea che, grazie “al potere assoluto di decisione di Di Matteo sulle pratiche di concessione di finanziamenti al di fuori del protocolli di garanzia” gli imprenditori ottenevano “cospicue somme di danaro (fino a 49 milioni di euro per Di Stefano, ndr) a titolo di finanziamento in carenza dei presupposti di merito creditizio a fronte della disponibilità ad effettuare operazioni di acquisto con patto di rivendita di azioni della banca (cosiddetto Portage)”. Un meccanismo, per gli inquirenti, che ha determinato una “sofferenza” per l’istituto di credito, attualmente commissariato da Bankitalia, per 220 milioni di euro. Contestualmente all’arresto di Di Matteo, il gip Passamonti ha disposto il sequestro preventivo di rapporti finanziari, partecipazioni societarie, beni immobili e mobili per un totale di quasi 200 milioni di euro. Tra questi quattro ville a Pomezia e Modena, 15 appartamenti in varie città, un attico con piscina, un outlet a Milano, 12 terreni, due imbarcazioni di pregio e sette autovetture.

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