Due anni fa, un esperto di marketing strategico si trovò di fronte ad una grossa sfida: gli chiesero come avrebbe affrontato la “crisi di mercato” della Chiesa se qualche alto esponente delle gerarchie gli avesse affidato una consulenza. Era evidente che non si trattava semplicemente di una crisi d’immagine, ma proprio di una crisi epocale, la più grande di tutta la storia della Chiesa. L’analisi che ne uscì descrisse in tutti i suoi aspetti una situazione drammatica.
Le dimissioni di Ratzinger sono arrivate come un fulmine a ciel sereno soltanto per chi non aveva seguito attentamente gli sviluppi della cosa, e certamente non si può ridurre tutto agli scandali sulla pedofilia o alle beghe dello Ior, pur nella loro gravità. C’era e c’è ancora ben altro da affrontare: la frammentazione della Chiesa in centri di potere in concorrenza fra loro, molti dei quali hanno branch specializzate nel business (Comunione e Liberazione, Opus Dei, per citare i due esempi più evidenti), l’avanzata sul mercato di nuove religioni create a tavolino da uomini di marketing (e altre che fanno apertamente uso del marketing), e infine la crisi delle vocazioni.
Il nuovo Papa ha scelto dapprima la strada del “comitato ristretto” per affrontare e possibilmente risolvere i problemi più urgenti in cui si dibatte la Chiesa. In termini di management, è come se l’amministratore delegato di una grande multinazionale in crisi cercasse di evitare in tutti i modi di riunire il consiglio di amministrazione e pensasse di risolvere con pochi uomini di sua fiducia quello che i suoi predecessori non sono riusciti a risolvere in tutte le passate stagioni. Francesco doveva porre mano subito a questioni spinose come la trasparenza dello Ior e i criteri di selezione del “personale” (leggi sacerdoti). In questo si è comportato come un abile e cauto curatore fallimentare.
Nel frattempo, occorreva dare un segnale, riconquistare la fiducia dei fedeli consumatori, riprendere il contatto con gli stakeholder. E quindi, comunicare. Dalle figurine, alle affissioni, alla tv, ai fumetti, sembra che il Papa abbia intenzione di usare con spregiudicatezza tutti i media disponibili per stupire perfino chi ancora non ha capito che stiamo parlando della più grande multinazionale della comunicazione. C’è chi si sveglia solo ora e comincia ad ammettere che la Chiesa usi in qualche modo strategie di marketing. Francesco però va oltre: si permette perfino di ironizzare sul marketing facendo a sorpresa dal suo balcone lo spot per un prodotto immaginario, la Misericordina.
Ma il problema più grosso che la Chiesa deve affrontare è il rinnovamento del suo prodotto: la Dottrina. Non basta più un restyling nella forma (qualcuno ricorda i tentativi fatti in questo senso a partire dagli anni ’70, come ad esempio le messe “rock”, per recuperare consenso presso i giovani all’epoca della contestazione). Se fosse così non avremmo nessuna difficoltà ad affermare che il Papa starebbe per compiere un errore fatale: non si può pensare di attirare nuovi credenti e nemmeno di recuperare quelli già persi soltanto rinnovando l’immagine, cioè senza intervenire sul prodotto stesso. La dottrina, o meglio la sua interpretazione, rischia di non essere più adeguata ai tempi. Occorrono nuove linee guida. Quindi, quando verrà il momento, un Concilio.
È questa la conclusione cui arrivava l’esperto di marketing convocato, nella finzione romanzata, da un alto prelato del Vaticano. Bergoglio si rende perfettamente conto che per riunire un consiglio d’amministrazione con questo obiettivo dovrebbe coinvolgere non solo gli azionisti (i credenti) ma anche tutti gli stakeholder, cioè tutti coloro che in un modo o nell’altro sono interessati al messaggio cristiano. Un Concilio aperto a tutti come si faceva nell’antichità. E difatti ha già cominciato a spianare la strada con un sondaggio mondiale online. Qualcosa di impensabile all’epoca di Ratzinger, che ricorda la nuova Costituzione partecipativa scritta con tutti i cittadini islandesi. Se Francesco continuerà così, quello a cui assisteremo con tutta probabilità non sarà un Concilio Vaticano III ma un Vaticano 3.0.