Quali sono stati i più grandi errori del Movimento 5 Stelle da febbraio a oggi? Avere sbagliato quasi tutto nei primi due mesi, complici due portavoce (Lombardi e Crimi) che legittimamente non potevano sopportare una tale responsabilità improvvisa. Non aver fatto il famoso nome (Rodotà, Settis o Zagrebelsky) al secondo giro di consultazioni, dopo il fallimento di Bersani. E avere analogamente giocato di sponda, e di attesa, quando Letta sembrava prossimo a cadere.
E’ ovvio che nulla sarebbe cambiato concretamente, perché Napolitano non concepisce nemmeno l’idea di avere M5S al governo e perché il Pd mai li ha cercati davvero: fare nomi e dimostrare di essere comunque pronti a governare, avrebbe però tolto molti alibi al Partito Democratico e avrebbe disinnescato buona parte delle accuse di inutilità parlamentare dei 5 Stelle, che secondo l’accusa “sanno dire solo no”.
Lo stesso errore è stato compiuto quando, usando la stessa parola con cui ormai 25 anni fa demolì Jovanotti (non a caso guru renziano) a Sanremo, Grillo e Casaleggio hanno definito “scoreggina” le proposte di Matteo Renzi. Proposte perlopiù farlocche e furbette, con l’autogol titanico del baratto vile sui “rimborsi elettorali”, già abrogati nel ’93 da un referendum quando si chiamavano per quel che sono (finanziamento pubblico): Renzi deve ridarli a prescindere, non in cambio di un ricatto democristiano. Con quel gesto, che Renzi ha provato ieri a difendere goffamente attraverso il monologo balbettante #Matteorisponde (più o meno la versione contemporanea dei filmati dell’Istituto Luce), il neosegretario Pd e sindaco a tempo perso di Firenze si è dato la zappa sui piedi. E Grillo come Civati hanno avuto buon gioco a zimbellarlo.
Renzi non ha però detto solo questo. In maniera molto confusa, che è poi la sua cifra politica, ha vagheggiato il taglio di 1 miliardo di costi della politica. Dalla sua parte ha quasi tutta la stampa, che lo ha già santificato. E dalla sua parte ha il più grande partito italiano, che pur di vincere si è consegnato mani e piedi all’idolo di Lele Mora e Briatore. Grillo, ma più in generale il M5S, doveva e deve vedere le carte che ha in mano Renzi. L’ho scritto domenica dopo il discorso di Renzi e prima della risposta di Grillo, lo ha ribadito martedì Travaglio su questo giornale. Cos’ha da perdere il M5S dimostrandosi disponibile? Nulla. Se ottiene le riforme, ha vinto. Se Renzi bluffava, lo smaschererà.
Dire “torniamo al voto col Mattarellum” non vuol dire una mazza e serve solo a esaltare la parte marginale e caricaturale duropurista del Movimento. Il Mattarellum non tornerà mai, lo ha ripetuto anche il Presidente del Senato Grasso. Casomai tornerebbe il proporzionale puro del 1992. Renzi ha in mente un doppio turno che garantisca il bipolarismo spietato, cioè la morte del M5S e la finta alternanza tra Renzi e Renzi. Naturale che i 5 Stelle non possano volere la stessa legge elettorale del Mister Bean di Rignano sull’Arno convinto d’esser Fonzie, ma devono comunque provare a cercarne una condivisa (se esiste): si dice di no dopo averci provato, non prima.
Le Province da abolire? Il M5S le vuole da sempre, Renzi molto meno perché ha fatto il Presidente di Provincia cinque anni, durante i quali si è preso anche una condanna in primo grado per danno erariale dalla Corte dei Conti e altre indagini (per esempio sui 20 milioni sperperati dal 2004 al 2009; per esempio sui 100mila euro polverizzati per il compleanno della Pimpa; per esempio sui 70mila euro che avrebbe avuto dall’ex tesoriere della Margherita Lusi. Renzi ha sempre smentito). Sugli altri tagli alla politica, Grillo è d’accordo. Giusto ieri c’è stato il secondo Restitution Day (non risulta che i parlamentari Pd abbiano organizzato un evento analogo): perché, allora, dire di no?
E’ innegabile che Renzi e 5 Stelle si detestino. Il vero bipolarismo, al momento, è questo: o Pd, o M5S. La guerra elettorale, al momento, è qui. Altro che Alfano, Gasparri e Casini. Entrambi devono però capire che, prima dello showdown, devono fare un tratto di percorso insieme. Napolitano detesta entrambi e così buona parte del Pd. Ulteriore motivo per provare a dialogare con Renzi: lavorando con lui, il M5S metterebbe in difficoltà l’apparato del Pd, che senza i “rimborsi elettorali” morirebbe e che dopo il “no” di Grillo si è sentito come miracolato e ha certo brindato (a gazzosa e cedrata, ma ha brindato).
Rispetto a marzo, quando la Lombardi tentò involontariamente di uccidere il suo Movimento sboroneggiando con Bersani in streaming tra un “noi siamo le parti sociali” e un “mi sembra di stare a Ballarò”, molto è cambiato e i parlamentari 5 Stelle hanno dimostrato di saper costruire oltre che distruggere: senza di loro, per esempio, la Costituzione sarebbe stata allegramente sventrata dai Boccia e Quagliariello vari. Chi, in vent’anni di non-sinistra non-antiberlusconiana, ha avuto il coraggio di dire le cose che hanno pronunciato alla Camera i Villarosa e al Senato le Taverna? Nessuno. Se però Grillo dice “no” ogni volta che passa un treno, la sensazione di stare sempre fermi in stazione a guardar viaggiare gli altri, dando al massimo uno schiaffo ogni tanto ai passeggeri come Tognazzi in Amici miei, diventerà un’immagine indelebile più che una sensazione errata.