La mia controreplica al Presidente della Lav, Gianluca Felicetti (VB)
Direi che chi ha scritto la smentita Lav al mio post su cani e gatti randagi ha “chiuso il cerchio” un comma prima del necessario. Non mi è chiaro per quale motivo in quella rettifica si nomina – giudicandolo decisivo – il comma n. 1 dell’articolo 10 (“Gli animali appartenenti alle specie elencate all’Allegato I del presente decreto possono essere utilizzati nelle procedure solo se provengono da allevamenti o fornitori autorizzati ai sensi dell’articolo 20”) e non si nomina invece il successivo comma n. 3, dove – in deroga al comma 1 – si legge che “il Ministero può autorizzare l’impiego delle specie di cui all’Allegato 1 non provenienti da allevamenti o fornitori autorizzati ai sensi dell’articolo 20″.
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Riceviamo e pubblichiamo la replica di Gianluca Felicetti, Presidente Lav del 20 Dicembre 2013
Cani e gatti randagi per vivisezione? Non ci sono deroghe al confermato divieto
Sperimentazione su cani e gatti randagi “in via eccezionale”? Lo Schema di Decreto Legislativo proposto dal Governo per il recepimento della direttiva europea sulla vivisezione contiene tante cose che non vanno, come ben sappiamo, lo stravolgimento o la cancellazione di dieci punti su tredici dell’articolo 13 della legge di delegazione europea per i quali siamo mobilitati ma non questo. La notizia, infatti, è falsa. Basterebbe saper leggere una normativa (oltre che conoscere la lingua italiana).
Nell’ordine: L’articolo 11 comma 1 della proposta governativa recita: “E’ vietato l’impiego nelle procedure di animali randagi o provenienti da canili o rifugi, nonché di animali selvatici delle specie domestiche”. Poi, e questo ha fatto lanciare l’allarme ad alcuni, il comma 2: “Il Ministero (della Salute) può autorizzare, in via eccezionale, l’impiego di cani e gatti di cui all’allegato I, nell’ambito ecc ecc”. Si deve quindi andare a leggere dei “cani e gatti di cui all’allegato I”. Allegato I: “Elenco degli animali di cui all’articolo 10, comma 1 (…) 8. Cane (Canis familiaris) 9. Gatto (Felis catus) (…)”.
Si va quindi a leggere il richiamato “articolo 10 comma 1”: “Gli animali appartenenti alle specie elencate all’Allegato I del presente decreto possono essere utilizzati nelle procedure solo se provengono da allevamenti o fornitori autorizzati ai sensi dell’articolo 20”. L’articolo 20 prevede chi deve rilasciare l’autorizzazione ad allevatori e fornitori e con quali requisiti.
Chiuso il cerchio. Quel comma 2 dell’articolo 11, la presunta “deroga”, riguarda quindi solo cani e gatti da allevamenti o fornitori autorizzati, in attuazione della lettera b) dell’articolo 13 comma 1 della Legge 96-2013 di delegazione europea come scritto anche dal Ministero della Salute a pagina 3 della Relazione illustrativa del provvedimento. I randagi, quelli di canili o rifugi non si possono e potranno utilizzare, in ogni caso. Lo dicevamo nel 2010 all’uscita della direttiva europea anche quando abbiamo visto cartelli a manifestazioni con scritto “Giù le mani dai randagi”. Mentre i punti problematici, per usare un eufemismo, sono ben altri. Ricordato che per noi randagi, allevati, domestici, selvatici, grandi, piccoli, bianchi, neri, fa differenza alcuna, è stabilito quindi che – in ossequio al divieto già vigente in Italia dal 1991 con la Legge 281 e dal 1992 con il Decreto Legislativo 116 – l’utilizzo di cani e gatti randagi, vaganti, continuerà ad essere vietato. Anzi nella formulazione proposta dal Governo è stata rafforzata includendo esplicitamente anche “o provenienti da canili o rifugi”.
Gianluca Felicetti, Presidente LAV
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E’ la stessa tecnica utilizzata lungo tutta la Direttiva, infarcita di frasette studiate per cercare di rendere appetibile il veleno: l’articolo 14 vieta di massacrare gli animali senza anestesia? Sì, ma…sette righe più in là, ecco che diventa prassi normale; l’articolo 8 vieta di sperimentare sulle scimmie antropomorfe? Sì, però, basta ri-leggere l’articolo 7 (articolo 55 della Direttiva originale) per scoprire che anche questo, volendo, si potrà fare. L’articolo 15 vieta di infliggere dolore, sofferenza e angoscia troppo prolungati agli animali? Che fortuna, se non ci fossero le “clausole di salvaguardia” (dei ricercatori) che invece lo consentono…
E così, su cani e gatti randagi – quelli da prelevare nei canili o nei rifugi (e perché no, anche dalla strada o da simpatiche famiglie propense a liberarsi del loro più caro amico per un nobile scopo: la “ricerca”) ecco che a insindacabile giudizio degli sperimentatori e dei loro referenti al Ministero, diventa lecito anche in Italia procedere in un gran numero di occasioni. Per esempio:
– quando è impossibile raggiungere lo scopo della procedura utilizzando specie diverse;
– quando le procedure perseguono uno degli scopi dell’articolo 5 comma 1 lettera a (ricerca di base);
– quando le procedure sono condotte nell’interesse della salute dell’uomo o delle specie animali;
– quando le procedure sono condotte allo scopo di evitare, prevenire, diagnosticare o curare affezioni umane debilitanti nonché potenzialmente potenzialmente letali.
In una parola: sempre. E se ci fossero dubbi, l’articolo 10 del Decreto, che consente di sperimentare anche su animali che non provengono da allevamenti o fornitori autorizzati (e quindi dalla strada et similia?), chiude il cerchio per sempre.
La precedente Direttiva europea, datata 1986, proibiva di infierire su cani e gatti randagi in tutta la Comunità. Pensavano gli europarlamentari di allora che il randagismo, specie quello dei cani, fosse un fenomeno da popoli incivili, da eliminare nel più breve tempo possibile (con cura, attenzione, sterilizzazioni di massa, tatuaggi, microchip, controlli, e castigando in modo serio gli abbandoni). Gli europarlamentari d’oggi non lo pensano più. L’ex ministro Renato Balduzzi, gli ultimi giorni del governo Monti, aveva scritto alla Commissione Europea esprimendo solenne rifiuto nei confronti della vivisezione sui randagi. E al popolo degli animalisti era stato servito un bel comunicato in cui venivano giudicati “irrinunciabili i diritti di maggior tutela degli animali, e in particolare dei randagi, già vittime del reato di abbandono”. L’Italia, insomma, avrebbe dato uno schiaffo morale a tutti gli altri popoli europei.
Ora, ci sono libri e ci sono articoli di giornale che raccontano che cosa succede nei paesi dove sperimentare sui randagi è prassi abituale da decenni: per esempio l’Australia e gli Stati Uniti. In quest’ultimo paese è addirittura l’Accademia nazionale delle Scienze a svolgere inchieste e denunciare il ripetersi di scandali e abusi. Sono storie orribili.