Il Senato approva l'emendamento Lanzillotta, riformulato, sulle partecipate del Comune di Roma con 142 sì, 100 no e 17 astenuti. Cancellato il riferimento ai tagli di personale per le partecipate in perdita. Salta l'aumento Irpef: governo battuto sul decreto Salva-Roma
Se la privatizzazione non è passata dalla porta, passerà dal portone. Potrebbe essere questa la filosofia dell’emendamento proposto dalla senatrice Lanzillotta al decreto “Salva-Roma”, discusso al Senato. La proposta era semplice: cedere una parte delle quote di Acea in mano al Comune, liberalizzare trasporto pubblico e raccolta dei rifiuti (ovvero: privatizzare Atac e Ama) e liquidare le aziende partecipate che non erogano servizi pubblici. A questo, poi, l’emendamento aggiungeva la “ricognizione dei fabbisogni di personale nelle società partecipate” dal Campidoglio, “prevedendo, per quelle in perdita, licenziamenti per motivi economici”. Il tutto inserito nel decreto legge – ribattezzato “Svendi-Roma” – che dovrebbe garantire un sostegno statale di 600 milioni al disastrato bilancio capitolino per il 2013, che vanta un buco di oltre 800 milioni.
L’emendamento era stato approvato martedì 17 in commissione Bilancio e firmato da Scelta Civica (Lanzillotta e Pietro Ichino), Lega Nord (Silvana Comaroli), ma anche da senatrici del Movimento Cinque Stelle (Elisa Bulgarelli, Ornella Bertorotta, Barbara Lezzi e Giovanna Mangili). Tuttavia, durante l’esame di mercoledì in Senato il governo ha chiesto di riformulare l’emendamento, che è stato rinviato in commissione. Di qui, il testo è tornato in Senato venerdì mattina, dove è stato discusso nella sua forma modificata. La commissione ha lasciato inalterato il comma 5-bis, che impone al Comune di comunicare al ministero delle Finanze e al Parlamento l’entità del debito e le cause che l’hanno prodotto; al comma 5-ter, invece, è richiesto al Comune un “piano triennale per la riduzione del debito con misure per contenimento dei costi e valorizzazione degli attivi”. Contenimento e valorizzazione che si dovrebbero ottenere estendendo “i vincoli del patto di stabilità interno a tutte le partecipate e all’assunzione del personale”, e – dulcis in fundo – dismettendo “quote di società quotate in Borsa, fermo restando il controllo pubblico di società e reti”.
Difficile, quindi, capire se sia stata scongiurata la privatizzazione di Acea, unica partecipata dal Comune quotata in Borsa, che sicuramente non lascia indifferente la Cassa Depositi e Prestiti di Franco Bassanini, marito della Lanzillotta molto attivo sulle società di distribuzione di acqua, energia e servizi comunali. Di certo non lo sono la “liberalizzazione” di Atac e Ama, e – anche se con alcune precisazioni – i licenziamenti, laddove è previsto un “necessario riequilibrio” del personale in caso di partecipate in perdita. In aula, Lanzillotta si è ribellata alle modifiche, presentando un sub-emendamento. La senatrice chiedeva che per “controllo pubblico” non si intendesse il mantenimento della maggioranza dei voti in assemblea ordinaria (quindi, il 50,1% delle quote, come previsto dall’articolo 2359 del Codice Civile); tuttavia, la maggioranza dei senatori si è espressa altrimenti, e alla fine l’emendamento “modificato” è passato, con 142 voti a favore, 100 contrari e 17 astenuti.
A questo punto, il 51% delle azioni Acea dovrebbe rimanere in mano al Comune; d’altronde, lo stesso sindaco Ignazio Marino aveva espresso “ferma contrarietà all’emendamento”, chiedendo che la società rimanesse “in mano pubblica, perché si tratta di uno dei settori strategici della città”. In effetti, la società capitolina dell’acqua e della luce è una multiutility che si prepara a distribuire un acconto sui dividendi del 2013 di 25 centesimi ad azione e fa gola ai soci privati, in primis al costruttore-editore Francesco Gaetano Caltagirone (che possiede il 16,4% delle azioni) e ai francesi del gruppo Gdf Suez (che detengono il 13,3%). Certo, Linda Lanzillotta non ha un curriculum brillante come privatizzatrice; basti ricordare che, proprio per la sua funzione di assessore al Bilancio del comune di Roma (giunta Rutelli), fu condannata dalla Corte dei Conti a risarcire 40mila euro alla Capitale, per alcune consulenze relative alla disastrosa privatizzazione della Centrale del Latte.
Tra gli oppositori più strenui dell’emendamento – fin dalla prima ora – c’è il Crap, Coordinamento romano acqua pubblica, in lotta da anni per il rispetto del referendum sull’acqua del 2011. “L’emendamento è stato ammorbidito, evidentemente c’è stata una mediazione per farlo approvare dal Pd – spiega Simona Savini, del Coordinamento romano acqua pubblica – Tuttavia, è stato introdotto l’obbligo di privatizzare porzioni dei servizi pubblici di Roma. Per noi resta un provvedimento opposto agli obiettivi per cui stiamo lavorando, e siamo molto preoccupati”.
Nei giorni scorsi, il Crap aveva organizzato un’azione di mail bombing verso tutti i senatori, per convincerli a votare contro l’emendamento e proprio in queste settimane ha dato un’ulteriore spinta alla campagna per la ripubblicizzazione di Acea e contro i distacchi delle utenze morose: “I municipi di Roma si stanno mostrando favorevoli alle nostre mozioni, che sono state adottate quasi ovunque. Chi è più vicino ai cittadini ha assunto una posizione chiara; la nostra speranza è che la volontà popolare arrivi anche al Comune”.
Sulla prospettiva dei licenziamenti, poi, si fa sentire anche la Cgil del Lazio: “Noi dovremmo tutelare gli occupati che abbiamo, non aggravare la disoccupazione – spiega il segretario regionale Roberto Giordano – in caso di licenziamenti non resteremo a guardare, anche perché abbiamo sottoscritto degli accordi, nel trasporto pubblico, per la conservazione dei posti di lavoro almeno fino al 2019. Il Comune non li può calpestare”. A salvare in corner i lavoratori, però, è intervenuto l’unico sub-emendamento accolto oggi: quello del forzista Aracri. Il senatore, infatti, ha chiesto che venisse specificato che la ricognizione sul personale avvenga “nel quadro degli accordi con le organizzazioni sindacali”. La palla, quindi, passa in mano loro.