Giuseppe Liverani è un ragazzo del Sessantotto che ha fondato e fatto crescere a Milano la Moncler dell’editoria di qualità, la casa editrice Charta, per vent’anni raffinata bottega che ha prodotto cataloghi di mostre e libri d’arte. Ora la bottega chiude. A fine dicembre, Charta sarà messa in liquidazione. Forse si farà sotto, chissà, qualche editore internazionale interessato a comprare un marchio del made in Italy conosciuto in tutto mondo. Ma Liverani e Silvia Palombi chiuderanno la loro bottega. “Non ci siamo voluti adeguare a un mercato editoriale che impone di abbassare la qualità e di impiegareprecari”, racconta l’editore, “abbiamo fatto questo lavoro per vent’anni al meglio, e nella piena legalità. Con una decina di dipendenti, tutti assunti a tempo indeterminato. La società non è fallita, ma non riesce più a sostenersi. Piuttosto che abbassare i nostri standard, chiudiamo”.

Liverani è stato nel 1968 uno dei leader del Movimento studentesco milanese, accanto a Mario Capanna e Salvatore Toscano. Dopo gli anni “formidabili” dell’Università Statale, si è impegnato nell’editoria, è stato tra i fondatori di Smemoranda, ha lavorato alla mitica Mazzotta e alla fine degli anni Ottanta è diventato direttore generale di Electa, l’elegante casa editrice di Giorgio Fantoni. Nel 1992 annusa l’aria (l’anno dopo, Electa, che aveva comprato Einaudi, finirà nella pancia della Mondadori conquistata sappiamo come da Silvio Berlusconi) e si mette in proprio. Crea Charta, una piccola Electa specializzata in libri d’arte contemporanea e moderna, fotografia, architettura, design. Realizza cataloghi di mostre importanti. Nel 2006 apre un ufficio a Tribeca, New York, che diventa la sededellasuasocietàamericana, la Charta Books Ltd. Ormai è sul mercato internazionale. Produce i libri di Keith Haring (con edizioni in sette lingue), di Anish Kapoor, diAlexKatz, dell’iraniana Shirin Neshat, della balcanica Marina Abramovic, di Hans Ulrich Obrist. In vent’anni, il catalogo di long sellers di Charta si arricchisce di quasi mille titoli (917, per la precisione). Il 90 per cento è in inglese e distribuito all’estero, in Usa e Australia, India e Giappone, Israele e Brasile…Negli ultimi anni, la Cina. “Abbiamo realizzato una trentina di libri dedicati ad artisti cinesi, in doppia edizione, inglese e cinese”.

È sempre restata una piccola bottega, Charta, con un fatturato attorno al milione di euro e un metodo di lavoro che non ha mai rinunciato ad antichi riti dell’editoria come i tre giri di bozze, i redattori madrelingua in giro per il mondo, le prove colore, il controllo dell’avviamento macchina in tipografia…“Cose che ormai non si fanno più”, sospira Liverani, “si manda da un computer il pdf in tipografia e poi si aspetta che arrivi il prodotto finito. Noi continuiamo invece a seguire il libro passo dopo passo. Così la nostra qualità può rimanere alta: questo è made in Italy”.

L’ufficio di New York è stato chiuso. Nella sede di via Moscova, a Milano, non c’è però aria di smobilitazione, ma un gran via vai, per una vendita speciale a prezzi bassissimi. “Noi i libri non li abbiamo mai mandati al macero. I nostri volumi sono al Moma di New York eintuttiigrandimuseidegliStati Uniti, ma non ci sono nei bookshop dei musei italiani, perché in Italia i Comuni e gli enti museali affidano i bookshop non ai librai, ma agli editori. L’ennesimo conflitto d’interessi: tengono solo i loro libri e nascondono quelli degli altri. Negli Usa i musei sono un grande mercato libero, da noi sono un mercato protetto per alcuni. Ora noi chiudiamo bottega. Eppure abbiamo ancora in programma sei libri da fare nel 2014: li faremo, con la cura di sempre”.

il Fatto Quotidiano, 19 dicembre 2013

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