In una democrazia rappresentativa, la partecipazione alle elezioni politiche e amministrative è un dovere civico e morale del cittadino, che elegge i suoi rappresentanti in Parlamento e delega loro il potere legislativo. Molte leggi dello Stato servono ad identificare ed organizzare e garantire i servizi pubblici, che lo Stato deve garantire ai cittadini, e chi usufruisce, ad esempio, del trasporto pubblico si aspetta di essere trasportato da qui a lì senza altro impegno che il pagamento del biglietto: ovvero, in uno Stato democratico il Parlamento ed il Governo garantiscono al cittadino dei diritti che prescindono da ogni suo coinvolgimento decisionale successivo al voto. Se il cittadino è insoddisfatto del modo in cui i suoi diritti sono tutelati, può protestare formalmente, ma non gli può essere richiesto di rimboccarsi le mani e organizzarsi da sé i servizi pubblici: ci deve pensare l’amministrazione pubblica attraverso il lavoro di dipendenti pagati allo scopo.
Alcuni servizi pubblici consentono al cittadino di partecipare alle decisioni organizzative: ad esempio questo avviene nella scuola e nell’università, che prevedono la presenza di rappresentanti degli studenti (o, se minori, dei loro genitori). Gli utenti del servizio possono o meno valersi di questa possibilità, che è un diritto, ma non un dovere civico o morale. Gli studenti universitari che decidono di valersi di questo diritto eleggendo dei rappresentanti (o facendosi eleggere) negli Organi di governo delle Università mostrano un atteggiamento che possiamo chiamare “l’università come il Parlamento”; quelli che invece decidono di non valersi di questo diritto e non votano né si candidano, hanno l’atteggiamento “l’università come l’autobus”. Gli studenti che concepiscono “l’università come il Parlamento” (alla Sapienza circa un quarto del totale) e quelli che concepiscono “l’università come l’autobus” (circa i tre quarti) esprimono atteggiamenti ugualmente degni ed hanno esattamente gli stessi diritti nei confronti della struttura. I primi hanno anche un merito, compensato con l’acquisizione di una piccola esperienza formativa sulla gestione ed il funzionamento dell’istituzione.
Il diritto di partecipare alla gestione degli Organi accademici è stato conquistato dagli studenti con manifestazioni e proteste del passato. Purtroppo la partecipazione può essere una esperienza deludente, sia per gli studenti che vi sono eletti che per i docenti: comporta di dedicare tantissimo tempo a compiti ingrati e noiosi. Ad esempio al momento tutti i membri degli Organi di governo di tutti gli Atenei italiani sono o sono stati impegnati ad elaborare i regolamenti interni necessari ad adeguare le procedure interne alle norme previste dalla legge 240/2010 (“riforma Gelmini”). E questo a prescindere dal fatto che la riforma Gelmini gli piacesse o non gli piacesse. Anzi la riforma è stata quasi universalmente criticata soprattutto per l’impostazione verticistica e per la trasformazione del Ricercatore Universitario in un ruolo a tempo definito (in pratica precario). Anche chi (docente o studente) era contrario alla riforma, ha dovuto lavorare per applicarla, perché non è lecito gestire un servizio pubblico in modo non conforme alla normativa vigente. E dopo aver svolto questo ingrato lavoro, è stato spesso identificato dal pubblico con la riforma stessa, come se l’avesse voluta lui.
Poiché “l’università come il Parlamento” gestisce un potere periferico, piccolissimo e non dà accesso alle decisioni politiche importanti, molti studenti e molti docenti partecipano a manifestazioni politiche nazionali, organizzate dai partiti o dal sindacato, che cercano come interlocutore il Ministro dell’Università. Fa invece confusione chi identifica la politica centrale con quella accademica, come se marciassero di concerto, e pretende che la manifestazione di trecento studenti all’interno della Sapienza abbia lo stesso significato e lo stesso interlocutore di una manifestazione della Cgil di trecentomila studenti e lavoratori sotto il Ministero. E fa confusione chi porta avanti una protesta che non sia collegata alla richiesta di una specifica azione legislativa. La formula del “Tutti a casa!” non risolve nulla: si deve chiedere invece, ad esempio, di ripristinare il ruolo del Ricercatore Universitario a tempo indeterminato o di prevedere strutture e commissioni non verticistiche, ma elettive.