Vladimir Putin abbandona i panni del leader inflessibile e indossa quelli del sovrano magnanimo. Dopo l’amnistia approvata dalla Duma, che permette la scarcerazione degli attivisti di Greenpeace e della band Pussy Riot, il presidente russo ha annunciato che concederà la grazia a Mikhail Khodorkovski, ex presidente della compagnia petrolifera Yukos e tra suoi più aspri oppositori, in galera dal 2003 dopo due processi considerati da molti come una vendetta del Cremlino. Gli atti di clemenza di Putin non arrivano certo in un momento qualunque: tra due mesi, infatti, la Russia ospiterà la grande vetrina internazionale delle Olimpiadi invernali di Sochi: l’apoteosi di Putin rischia di essere compromessa dal crescente numero di polemiche defezioni da parte di vari leader.
“Mikhail Borisovich si è rivolto a me per chiedermi la grazia”, ha confidato a pochi cronisti il leader del Cremlino dopo una maratona mediatica di oltre quattro ore, chiamando rispettosamente per la prima volta il nemico con nome e patronimico. “Ha trascorso più di dieci anni in carcere, è una pena seria, ha invocato circostanze umanitarie, sua madre è malata, e penso che firmerò presto un decreto di grazia”, ha spiegato, cogliendo in contropiede tutti, anche gli avvocati di Khodorkovski. Non lo sapeva neppure la madre Marina, che ha 79 anni e ha un cancro: “Sostengo qualunque decisione di mio figlio”, ha commentato la donna frastornata ma speranzosa. “Una notizia davvero felice”, le ha fatto eco il figlio Pavel. Nessuna grazia invece per l’ex socio di Khodorkovski, Platon Lebedev, che non ha avanzato alcuna richiesta.
Con la richiesta di grazia, quando già circolavano voci di un possibile terzo processo, Putin si è visto riconoscere il potere anche dal suo storico avversario. Controverso invece è se l’istanza rappresenti anche un’ammissione di colpa, come ritiene il Cremlino, oppure no, come ritengono altri: i motivi umanitari sembrano comunque una buona ragione di compromesso. Khodorkovski, in effetti, finora si era sempre rifiutato di chiedere la grazia, negando le accuse.
Arrestato nel 2003, quando era l’uomo più ricco di Russia dopo essersi arricchito durante le chiacchierate privatizzazioni dell’era di Eltsin, è stato processato due volte con una condanna complessiva a 14 anni (poi ridotta a 11) per frode, evasione fiscale, riciclaggio e appropriazione indebita. Per molti una vendetta del Cremlino, e un monito agli altri oligarchi, per aver minacciato il consolidamento della leadership del presidente Vladimir Putin finanziando l’opposizione e lanciando accuse di corruzione alla società statale concorrente Rosneft, che poi incassò gran parte degli asset del fallimento Yukos. In tutti questi anni Putin ha sempre manifestato la sua ostilità per Khodorkovski, paragonandolo ad Al Capone e al finanziere Bernard Madoff e accusandolo anche di essere il mandante di omicidi, addebito tuttavia mai contestatogli dalla giustizia. “Un ladro deve stare in prigione”, disse tempo fa, citando la battuta pronunciata dal celebre cantautore-attore Vladimir Visotski in un popolare film sovietico.