Quante volte abbiamo sentito parlare del Brain Drain? Quante volte abbiamo discusso dell’enorme perdita di capitale umano che l’Italia sta vivendo con il sempre più frequente fenomeno dei cervelli in fuga? Quante volte ci siamo chiesti se vale la pena rimanere in un Paese che sembra non aver la forza di scommettere sui giovani talenti?

Sono solo alcune questioni tra le tante che continuano a tormentare un’intera generazione di cervelli italiani, ragazzi sempre più qualificati alla continua e disperata ricerca di un confronto con un mondo dello studio e del lavoro trasparente e meritocratico, che dia loro la possibilità di mettersi in gioco e di progredire sia professionalmente che personalmente.

La fuga dei cervelli dall’Italia è un dramma tutto moderno, lontano dalla vecchia definizione di emigrazione che ha caratterizzato la storia del nostro paese fino agli anni ’50 del Novecento. Nelle valigie dei giovani espatriati non troviamo più i simboli di una vita di stenti e sacrifici, ma bagagli culturali d’eccellenza, voglia di fare, bisogno di scoprire, volontà di sentirsi riconosciuti. L’Italia è attanagliata dalla piaga del Brain Drain ormai da troppi anni, tanto da non vedere che esistono altri tipi di mobilità, come quella di ragazzi stranieri che, in controtendenza rispetto ai nostri, in Italia hanno deciso di costruire il loro futuro.

Queste sono le storie di Adria, di Sefa e Mark, ragazzi giovani e in gamba che hanno scelto l’Italia come patria di adozione, lasciando le loro terre per scommettere sulla nostra, che hanno trovato nel nostro Paese un motivo per rimanere e per non tornare a casa.

Adria è un ragazzo catalano, trasferitosi in Italia da tre anni. Dopo la specialistica in ingegneria industriale a Barcellona, ha scelto Milano per proseguire i suoi studi ingegneristici, questa volta con indirizzo ambientale, laureandosi con doppia laurea al Politecnico di Milano. “Ho scelto di studiare all’estero perché volevo fare un’esperienza formativa di stampo internazionale – ha affermato Adria – la laurea in ingegneria industriale si era rivelata una scelta sbagliata e il mio interesse per il settore ambientale mi ha portato qui. Prima di partire mi sono trovato di fronte a un bivio: studiare in Danimarca, in Corsica o in Italia? Per una serie di fattori pratici e personali ho scelto l’ultima. Vivo in Italia ormai dal 2010 e non me ne pento”.
Adria, che ormai parla italiano come un perfetto madrelingua, dopo gli studi universitari ha nuovamente scelto l’Italia, vincendo prima un assegno di ricerca a Milano e poi un dottorato a Bologna, rifiutando un’opportunità di studio a Santander. Alla domanda se pensa di rimanere in Italia anche in futuro, risponde: “Non lo so, non lo posso ancora dire, ma in Italia ci sto bene”.

Anche Sefa ha studiato ingegneria, a Istanbul, dopodiché ha scelto la Calabria per il suo Erasmus e successivamente per la specialistica. “Dovevo scegliere tra l’Italia, l’Inghilterra e la Germania – racconta – be’, non ho avuto dubbi: secondo me l’Italia è il paese più bello del mondo, ha il suo perché e lo avrà ancora per lungo tempo, almeno per me. Dopo anni di studio nel Belpaese e il trasferimento a Bologna per lavoro, l’Italia è ormai diventata una seconda casa per me. Ogni volta che per qualche motivo devo lasciarla, quando torno mi sento felice. Ho scelto l’Italia perché volevo una vita più dolce”.
La Turchia, Sefa, non l’ha abbandonata del tutto. Attualmente lavora nel settore Import-Export di un’azienda edilizia che ha rapporti anche con la madrepatria, ma il suo sogno è creare una piccola società di consulenza per promuovere l’internazionalizzazione delle aziende italiane e poi chissà, magari fare un dottorato. Alla domanda se crede che in Italia ci siano opportunità per i giovani, risponde: “Ogni crisi crea anche opportunità e quella di oggi è il commercio internazionale dato che il mercato italiano è fermo. I giovani italiani non devono pensare come i loro genitori e devono adattarsi alle condizioni attuali del mercato. Non è facile, ma è un ottimo punto di partenza”.

Mark, infine, è un ragazzo di Dublino, scappato dall’Irlanda per amore, ma dove in Italia ha trovato anche un lavoro che gli piace. “Sono partito nell’ormai lontano 2003, abbandonando un lavoro insoddisfacente per ritrovarmi a insegnare inglese a Bologna”, racconta. A Mark piace vivere in Italia, conosce le difficoltà che la tormentano, le ha sperimentate sulla propria pelle, eppure ha deciso di restare, di costruirsi un futuro fatto di un lavoro appagante, di un amore che subisce l’innegabile fascino del confronto interculturale, di amici sinceri, di serenità.

Queste storie di altri cervelli in fuga, questa volta verso l’Italia, insegnano che sia giusto sperimentare e cercare di costruirsi il proprio futuro anche fuori dalla propria patria e che questa voglia di scoperta accomuna tutte le generazioni e le culture. La scelta, e non la costrizione, di tornare in patria o trovare fuori la propria dimensione dovrebbe restare ai giovani, e non alle logiche di mercato.   

 

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