Ricevo da una giovane che ho conosciuto ad un corso universitario che ho tenuto in una grande città del nord; le allieve hanno una lista di discussione e questa è la missiva di Stefania.
“Volevo condividere con voi un episodio che non mi è piaciuto per niente. Sabato pomeriggio ero in pieno centro, stavo camminando, quando ad un tratto passo davanti ad una vetrina di un negozio di intimo e con la coda dell’occhio vedo muoversi qualcosa. Mi giro, e cosa vedo? Due ragazze in vetrina che posavano con dei completini intimi addosso. Stavano chiacchierando e intanto posavano in bella vista in mezzo alla merce e ad altri manichini (finti). Sono rimasta molto colpita e amareggiata. Non voglio fare commenti moralisti e non voglio soffermarmi sul tipo di lavoro che hanno scelto (?) queste due ragazze, ma mi chiedo che caspita di messaggio è? Siamo ormai abituate/i alle innumerevoli immagini in tv e nella pubblicità di donne nude o quasi, ma vi assicuro che vederle dal vivo, in carne ed ossa, immobili in mezzo a vestitini, cartellini con il prezzo esposto ed altri manichini è un’immagine degradante. Mi chiedo ad un/un’adolescente che passi di lì che messaggio arrivi. Non è possibile fare nulla secondo voi? Perché mi devono imporre dal vivo una scena così avvilente del femminile?”
Sì, Stefania ha ragione. Mi pare che degradante sia la parola che bene definisce quella realtà. Ci sono tantissimi spunti di riflessione in questa vicenda (purtroppo non è la prima volta né sarà l’ultima che si segnalano iniziative pubblicitarie simili).
Essere un manichino vivente non è di per sé negativo: le modelle nelle scuole d’arte sono per lo più nude, come i modelli: al solito il fatto increscioso è che dietro la nudità ci sia il mercato, e un mercato che informa i desideri e i canoni di bellezza, gradevolezza e lo standard dentro al quale si è dentro, o fuori, dal gradimento (maschile) convenzionale e maggioritario. Trovo, infine, che scegliere di fare o non fare questo o quel mestiere (occasionale o duraturo, quando è possibile) sia collegato anche con la responsabilità, individuale e quindi collettiva.
Stare seminuda in vetrina non è una scelta neutra: significa, appunto, dare indicazioni a chi è più giovane, maschio e femmina, che ti guarda,esposta e in vendita tra le merci, e riceve segnali precisi dalla tua esposizione. Nessuna scelta, mai, è innocente: né quella di chi conduce il mercato, la razza padrona, e nemmeno quella di chi si vende.
Dobbiamo continuare a pensare a questo intreccio, pena l’invisibilità della violenza sui corpi e sulle relazioni umane che passa attraverso ‘l’innocua’ trovata nella vetrina di un negozio, in un pomeriggio in centro.