Ha lo stesso nome della divinità femminile della mitologia greca che rappresenta la personificazione della Terra. Ma il suo sguardo volge molto più lontano. Il suo compito è realizzare una mappa tridimensionale aggiornata della Via Lattea, misurando con precisione movimento, distanza, cambiamento di luminosità e posizione di almeno un miliardo di stelle. Comincia oggi, con il lancio del vettore Soyuz-Fregat dalla base di Kourou, nella Guiana francese, l’avventura della missione Gaia – acronimo che sta per Global astrometric interferometer for astrophysics – dell’Agenzia spaziale europea (Esa), cui l’Italia partecipa contribuendo all’elaborazione dei dati con diversi osservatori sparsi su tutto il territorio nazionale.
“Sarà come passeggiare all’interno della Via Lattea in 3D”, commenta Gerry Gilmore, astronomo della Cambridge University, uno dei responsabili della missione. Gaia realizzerà nell’arco di cinque anni un approfondito censimento stellare che, secondo le intenzioni degli scienziati, andrà a comporre le tessere mancanti del puzzle della nostra galassia, fornendo agli studiosi preziose informazioni sull’origine, la formazione e l’evoluzione del nostro angolo di Universo. “Grazie a Gaia vedremo ciò che è rimasto dei primi detriti di quello che oggi conosciamo come Via Lattea – afferma Gilmore -. Potremo osservare l’intera storia della galassia squadernarsi davanti ai nostri occhi”.
La missione raccoglie il testimone di un’altro satellite dell’Esa, Hipparcos, dal nome dell’astronomo greco che per primo, nel secondo secolo a.C., catalogò la posizione di un migliaio di stelle. Gaia conterà fino a un miliardo di astri, un risultato considerevole rispetto alle 120 mila sorgenti luminose studiate dal suo predecessore, ma pur sempre la punta di un iceberg a confronto delle 100 miliardi di stelle stimate nella Via Lattea. “In termini semplici, si può dire che il telescopio Hipparcos riusciva a vedere dalla Terra un uomo sulla Luna, mentre Gaia è in grado di vedere una moneta da un euro sulla Luna”, spiega Enrico Flamini, coordinatore scientifico dell’Agenzia spaziale italiana (Asi). Quello di Gaia sarà un lavoro meticoloso. Ogni stella sarà trattata come una diva e fotografata ripetutamente una settantina di volte. A partire dalle più ritrose, con luminosità più fioca. “Con Gaia riusciremo a vedere stelle fino a 400 mila volte più tenui di quelle che riusciamo a scorgere a occhio nudo – spiega Giuseppe Sarri, Project manager della missione -. Sarà come misurare lo spessore di un capello umano a una distanza di mille chilometri”. Costata 650 milioni di euro, Gaia galleggerà nello spazio a un milione e mezzo di chilometri di distanza dalle nostre teste, nel cosiddetto secondo punto di Lagrange (L2), sulla stessa direttrice Terra-Sole ma in direzione opposta a quest’ultimo.
Uno spicchio di cosmo particolare, lo stesso in cui verrà collocato il successore di Hubble quando nei prossimi anni il telescopio spaziale andrà in pensione. Si tratta di un luogo dell’equilibrio, in cui gli effetti gravitazionali di Sole, Luna e Terra si bilanciano, consentendo alla sonda di lavorare in assoluta tranquillità senza particolari scossoni. “La vera sfida di Gaia sarà elaborare l’enorme mole di dati – afferma Flamini -. Ma il suo lavoro non si limita alla sola osservazione stellare. La sonda sarà in grado di evidenziare e scoprire anche la presenza di pianeti su sistemi extrasolari e nuovi asteroidi”. Una volta raggiunto il suo luogo di lavoro, il primo compito di Gaia sarà, però, proteggere dai raggi solari i suoi sofisticati occhi, con i quali spazzerà tutta la sfera celeste.
Per garantire ai suoi due telescopi una temperatura ottimale di cento gradi sottozero, si aprirà come un fiore che sboccia, dispiegando una sorta di parasole dal diametro di dieci metri tappezzato di pannelli solari che, oltre a “farle ombra”, fornirà l’energia necessaria alla missione. Analizzando i miliardi di scatti della sonda, gli scienziati faranno anche un po’ di archeologia astronomica. Sperano, infatti, di catalogare quelle stelle simili al Sole che rappresentano le briciole di un antico pasto cosmico, quando la Via Lattea ingoiò altre galassie più piccole con cui era entrata in rotta di collisione. “Gaia è un sogno per gli astronomi – commenta entusiasta Alvaro Gimenez, a capo del Direttorato per l’esplorazione scientifica e robotica dell’Esa -. È lo strumento disegnato per ottenere le risposte a tutte le nostre domande sulle stelle”.