E’ guerra civile in Sud Sudan. Da una parte, l’etnia Dinka fedele al presidente Salva Kiir , dall’altra i rivali Nuer schierati con il suo predecessore Rijek Machar. E a finire in nel tritacarne degli scontri tribali, la popolazione civile: nella cittadina di Bor, nello stato petrolifero di Jongley, un gruppo di giovani dell’etnia Nuer ha attaccato una base Onu. Secondo quanto riportato dalle stesse Nazioni Unite, nel blitz sono state uccise decine di sfollati.
Da circa 24 ore Bor è nelle mani dei soldati fedeli all’ex vicepresidente Rijek Machar, che in un’intervista all’emittente francese Rfi ha definito un dittatore il presidente Salva Kiir ed ha affermato che con lui potrà soltanto trattare le condizioni del suo abbandono del potere, sollecitando tutto l’Esercito per la liberazione del Sudan (Spla) a ribellarsi e a destituirlo. Gli scontri in Sud Sudan erano cominciati la sera di domenica tra reparti contrapposti della Guardia Presidenziale: secondo l’appartenenza etnica alcuni si erano schierati con Kiir (Dinka) ed altri con Machar (Nuer). Il massacro denunciato nella capitale ha indotto molti governi stranieri – Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia, Norvegia – a far evacuare le proprie comunità, composte in maggioranza da operatori umanitari, con ponti aerei. Circa 20mila abitanti della capitale si sono rifugiati nelle due basi della missione Onu (Unmiss) alla periferia, così come altri hanno fatto nelle città teatro di violenze, Bor e Torit. E Human Rights Watch denuncia: i soldati fedeli al presidente Kiir hanno ucciso indiscriminatamente decine di civili a Juba, prendendo in particolare di mira l’etnia rivale dei Nuer.
In questo quadro di escalation delle violenze, una missione per avviare trattative di pace in Sud Sudan, il più nuovo stato dell’Africa e del mondo, nato nel 2011 dopo la secessione dal Sudan, ma anche ricco di grandi risorse petrolifere (terzo in Africa, dopo Angola e Nigeria) è stata inviata dall’Unione Africana e dall’Igad (Autorità intergovernativa per lo Sviluppo) con rappresentanti di Etiopia, Kenya e Uganda, ed il sostegno del Ruanda. Secondo gli esperti dell’Icg è la peggiore crisi nell’area dal 2005, anno in cui fu raggiunto l’accordo di pace globale tra Khartoum e Juba, base del referendum del 2011 che ha poi sancito la separazione del Sud dal Nord del Sudan. Da allora le tensioni hanno avuto fasi alterne, senza che si raggiungessero mai intese reali sulla definizione dei confini dei due stati e lo sfruttamento delle risorse petrolifere.