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Unione bancaria, arriva accordo Ue. Ma Schulz avverte: “Discussione sarà dura”

Gli Stati daranno vita ad un fondo salva-banche unico, finanziato con prelievi sulle banche a livello nazionale. L’intesa dovrà ora passare al vaglio del Parlamento Ue e poi di nuovo all’Ecofin. Il presidente del Parlamento Ue, però, frena: "Negoziato ancora lungo"

Dopo oltre dodici ore di negoziati l’Ecofin raggiunge l’accordo “storico”, come lo definisce il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, sul meccanismo che permetterà alle banche di fallire in modo controllato (SRM), senza che la loro crisi metta a rischio né il sistema finanziario né gli Stati.

Si tratta della seconda tappa dell’Unione bancaria, dopo la supervisione unica targata Bce. Per Saccomanni è ora “sventato il rischio di una nuova Lehman Brothers“, e l’Italia riesce ad ottenere dalla Germania quello che voleva: uno strumento di garanzia che intervenga a fornire liquidità in ultima analisi (backstop o paracadute finanziario), per evitare che le crisi diventino ingestibili se un istituto in risoluzione ha finito i fondi cui attingere. “Finisce l’era dei salvataggi bancari massicci e dei conti pagati dai contribuenti”, ha detto il commissario al mercato interno Michel Barnier commentando l’accordo, che “porterà stabilità finanziaria e migliori condizioni di finanziamento all’economia reale”. L’accordo ‘generale’ raggiunto dall’Ecofin è tuttavia solo la metà del cammino della legislazione che dovrà ora passare al vaglio del Parlamento Ue e poi di nuovo all’Ecofin.

E il presidente del Parlamento Ue, Martin Schulz, mette le mani avanti. L’accordo sul meccanismo di risoluzione bancaria è “molto lontano” dalla posizione del Parlamento Ue, avverte. Sottolineando che l’approccio multilaterale adottato dall’Ecofin “non è pragmatico”. E con l’Eurocamera “il negoziato sarà molto lungo” e la discussione “durissima”.

L’intesa stabilisce fondamentalmente due cose. La prima: gli Stati daranno vita ad un fondo salva-banche unico, finanziato con prelievi sulle banche a livello nazionale. Inizialmente sarà formato da compartimenti nazionali che alla fine confluiranno in un unico fondo nel giro di dieci anni. Nel primo anno, le banche in default controllato potranno attingere solo al fondo del proprio Paese, ma negli anni successivi, man mano che il fondo cresce, ci sarà una mutualizzazione progressiva delle risorse.

Il backstop o paracadute voluto dall’Italia assicura che nella fase iniziale del fondo, dopo l’auto-salvataggio o ‘bail-in’ delle banche che assegna le perdite ad azionisti, obbligazionisti e grandi depositi, se a una banca serviranno ancora fondi, si potranno avere ‘finanziamenti ponte’ da parte degli Stati o del fondo salva-Stati Esm. Saranno possibili anche i prestiti tra compartimenti del fondo salva-banche. Per Saccomanni il principio è che il sistema sia finanziato dalle banche stesse, ma se c’è necessità possono intervenire garanzie dei governi “perché si riconosce che è bene risolvere una crisi anche con fondi accantonati da altri per evitare che la situazione diventi ingestibile”.

La seconda componente del meccanismo di risoluzione unico è l’autorità che prende la decisione di far fallire una banca in difficoltà: sarà un board formato da rappresentanti delle autorità nazionali, che agirà su impulso della Bce. Saranno gli Stati ad avere l’ultima parola, perché la Commissione, che avrebbe voluto voce in capitolo, è stata invece in pratica estromessa da ogni decisione vera e propria. La decisione su come e quando ‘risolvere’ una banca sarà presa in 24 ore, come voleva la Bce. Il meccanismo unico di risoluzione si applicherà a tutte le banche supervisionate dalla Bce ed entrerà in vigore il 1 gennaio 2015, mentre le regole del ‘bail-in’ saranno applicate esattamente un anno dopo.

Il 13 dicembre Saccomanni aveva scritto una dura lettera al ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, e ad altri colleghi per contestare la posizione tedesca in quanto orientata a generare una “unione bancaria difettosa”, aprendo di fatto lo scontro Italia-Germania. Il governo di Angela Merkel ha infatti speso 64 miliardi di euro dei contribuenti per salvare banche tedesche ed è stato da sempre scettico all’idea di esporsi per aiutare banche di altri Paesi membri. Il ministro italiano aveva quindi sottolineato la necessità di istituire un “paracadute finanziario” comune, “in combinazione con i paracadute finanziari nazionali”, che dovrà contribuire ai costi della risoluzione “senza condizionalità”.