1. Perché l’accordo europeo è così importante?
Stabilisce come funzionerà il fondo di risoluzione europeo, che dovrà intervenire quando una banca andrà in difficoltà e il nascente organismo di Supervisione unica (di fatto un’emanazione della Bce) dovrà decidere come gestire la crisi, pilotando verso il salvataggio o la bancarotta controllata. Operazioni costose, che qualcuno deve pagare: prima gli azionisti, poi i creditori, in parte anche i risparmiatori (è l’approccio bail-in). Quel che resta sarà coperto dal fondo.
2. Ogni Stato pagherà per le sue banche o la gestione sarà europea?
Questo era il punto delicato. Si è trovato un compromesso: il fondo nasce con contributi nazionali tenuti separati, a compartimenti stagni. Nel corso di dieci anni diventerà un fondo davvero europeo, così che i mercati sappiano che in caso di dissesto di una banca esiste uno strumento comunitario pronto a intervenire. Questo, assieme alla supervisione rafforzata da parte della Bce, dovrebbe rendere molto più credibile il sistema bancario europeo, agevolando quindi i finanziamenti a imprese e famiglie.
3. Quali sono le banche coinvolte?
In teoria tutte, anche i Paesi fuori dalla zona euro possono entrare in questo progetto di Unione bancaria. I 130 istituti principali saranno sottoposti alla supervisione diretta della Bce che vigilerà anche sugli altri ma per tramite delle autorità nazionali (nel nostro caso la Banca d’Italia).
4. Chi decide che una banca deve essere chiusa?
Il processo decisionale è complicato, c’è un board del Meccanismo unico di supervisione che è composto da un presidente, cinque membri della Bce e 18 delle autorità nazionali, poi trasmette la sua decisione al consiglio dei governatori della Bce, che poi rimanda la palla al Meccanismo unico di supervisione. Salvo che la Commissione o il Consiglio (cioè l’esecutivo europeo e gli esecutivi nazionali) non si oppongano, le decisioni del board del Meccanismo unico di supervisione diventano operative in 24 ore. Sono previsti poteri che permettono di agire anche contro il volere di alcuni Stati o delle autorità di vigilanza nazionali (nessun governo o supervisore locale gradisce vedere esplodere una crisi bancaria in casa propria).
5. Da dove arriveranno i soldi?
Il fondo per la risoluzione sarà finanziato dai privati, cioè dalle singole banche nazionali, ma potrà attingere risorse anche dal fondo salva Stati Esm (i cui capitali per ora non vengono utilizzati) nella fase transitoria, cioè finché il fondo non sarà pienamente operativo.
6. Quando entrerà in vigore tutto questo?
Il meccanismo sarà pienamente operativo tra 10 anni e serve prima l’approvazione di un trattato intergovernativo, cioè devono ratificarlo i singoli Stati membri (o meglio, un numero sufficiente a garantire l’80 per cento delle risorse al fondo di risoluzione). Il processo partirà dal 2016, salvo sorprese.
7. Quali sono i buchi in questa rete di protezione?
I tempi sono lunghi, le incognite tante, i dettagli da chiarire decine. Il negoziato è appena all’inizio. Se è rassicurante che si sia imposta la logica che il “backstop”, cioè il fondo per il pronto intervento, sia europeo, per anni resterà frammentato su base nazionale. Riducendo così l’effetto rassicurante per gli investitori, che avranno ragioni per continuare a preoccuparsi soprattutto delle crisi bancarie che riguardano istituti operanti su diversi Paesi.
@stefanofeltri
Il Fatto Quotidiano, 20 Dicembre 2013