È passata l’ennesima fiducia alla Legge di Stabilità. Dopo settimane di discussioni in commissione, è stata votata questa mattina alla Camera la legge che contiene la programmazione futura del nostro Paese.

Come non rimanere delusi da questa legge? Dopo settimane di mobilitazione in cui abbiamo rivendicato più investimenti in istruzione, meno tasse sui fuori sede e abbiamo lottato contro la dismissione del patrimonio pubblico, si chiude una legge di stabilità costruita con uno scarsissimo ascolto da parte della politica nei confronti delle giuste istanze poste dal basso.

Non sono infatti mancate in questo autunno intense mobilitazioni di differenti settori sociali che pagano la crisi sulla propria pelle e che hanno provato ad aprire uno spazio di cambiamento e discussione. Una Legge di Stabilità redatta sul mantra del contenimento della spesa, e quindi della compressione dei diritti, dei servizi e dell’assenza di investimenti strutturali in grado di produrre nuova e buona occupazione partendo dall’innovazione e dal ruolo dei saperi per cambiare l’economia e la società.

Da questo dibattito vuoto non si può che notare una grande assente, la Politica con la P maiuscola. Da un lato un centrodestra imploso in questioni legali personaliste quasi fossero interesse generale del paese, condannandoci a mesi di occupazione mediatica del dibattito pubblico, dall’altro il Partito democratico impegnato in un ricambio sempre più incentrato sul leader e non sui contenuti. È stato rovinosamente saltato il turno della risposta alle questioni sociali che la crisi sempre più inasprisce e della mediazione nel governo della cosa pubblica.

Ancora più preoccupante è come la delega alle questioni sociali venga liquidata in una becera repressione del dissenso, tra cariche a freddo alle spalle contro gli studenti negli atenei come non se ne vedevano da qualche decina d’anni o di arresti di minorenni pericolosamente armati di vernice lavabile.

Se l’assenza di risposte strutturali è palese ed evidente, non si può neanche dire che la conflittualità sociale datasi sia stata invana. Se da un lato infatti le lotte sono ancora in grado di muovere consenso nel Paese ed evidenziare all’opinione pubblica i problemi che si agitano in seno alla società, dall’altro l’azione vertenziale è anche riuscita ad impattare sul piano materiale portando ad un aumento, del tutto insufficiente ma storico, degli investimenti in borse di studio. La spinta degli studenti è infatti riuscita a portare questi fondi, a fronte di un investimento inizialmente previsto di 14 mln € su un fabbisogno di quasi 400 mln €, alla cifra di 206 mln €.

Al netto di un’assenza drammatica della politica, c’è infine da evidenziare come i vincoli di bilancio europei imposti dalla Troika attraverso i trattati economici chiudano molti spazi al cambiamento e alle discussione democratica. Questa fase impone quindi un bisogno, ad ora purtroppo disatteso, di incidere e cambiare l’impalcatura delle politiche europee, partendo da una nuova fase di protagonismo dei corpi sociali e dei movimenti. Gli appuntamenti sono già segnati, partendo dal summit sulle politiche giovanili che si terrà a Roma ad aprile, a Blockupy Frankfurt nel prossimo autunno, fino alle elezioni europee in cui qualificare un’ipotesi di cambiamento e trasformazione dell’Europa, attraversando il semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea.

Scritto in collaborazione con Roberto Campanelli, Coordinatore nazionale dell’Unione degli Studenti 

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