Radicale riduzione della pena a otto detenuti, condannati per reati legati al possesso e vendita di crack. Lo ha deciso il presidente statunitense Barack Obama, nell’ambito di una strategia che mira a diminuire in modo rilevante le sanzioni carcerarie ai condannati per reati legati agli stupefacenti, in particolare proprio al crack. Sei dei “graziati” erano ergastolani. Gli altri due erano stati condannati a 15 anni di carcere. Gran parte di questi verranno liberati entro tre mesi. “Se fossero stati condannati in base alla legge attuale – ha detto Obama, motivando la sua decisione – molti di loro avrebbero già scontato la pena e pagato il loro debito alla società. Invece, a causa di una disparità nella legge, ora riconosciuta come ingiusta, rimangono in carcere, separati dalle loro famiglie e dalle loro comunità, facendo pagare milioni di dollari dei contribuenti ogni anno”. Parlando di legge “ingiusta”, Obama ha fatto dunque riferimento alla legislazione che comminava sentenze molto più pesanti, nel rapporto di 100 contro 1, ai condannati per crack rispetto a quelli per cocaina. Il sistema fu poi emendato dal “Fair Sentencing Act” del 2010.

Le leggi più restrittive furono decise negli anni Novanta, nel mezzo di quella che è stata definita “l’epidemia di crack” e che portò a un aumento dell’800 per cento della popolazione carceraria statunitense. Il sistema aveva un’indubbia valenza etnica e razziale. I consumatori di crack erano infatti molto spesso giovani afro-americani delle periferie più povere delle città americane – laddove la cocaina trovava la propria più larga base di consumo tra la popolazione bianca. Secondo le “Families Against Mandatory Minimums”, sono in questo momento 8800 gli uomini e le donne ancora in carcere, condannati sulla base delle leggi in vigore prima del 2010. Tra i detenuti cui è stata ridotta la pena c’è Clarence Aaron, un afro-americano dell’Alabama condannato a tre ergastoli per il suo ruolo in una storia di traffico di crack nel 1993, quando Clarence aveva 22 anni. Il ragazzo venne condannato sulla base di semplici testimonianze di “informatori” della polizia e del suo caso, negli ultimi anni, si sono occupati molti organi di stampa e gruppi per i diritti civili. “Clarence era senza parole, alla notizia della grazia”, ha detto il suo avvocato.

Tra gli altri detenuti beneficiari del provvedimento di Obama c’è Reynolds Wintersmith, che aveva 17 anni quando nel 1994 venne condannato all’ergastolo per possesso e vendita di crack; e Stephanie George, anche lei condannata all’ergastolo nel 1997 – aveva 27 anni – per aver aiutato il suo ragazzo a nascondere la droga a casa sua. Sia Wintersmisth che la George sono afro-americani. La riduzione della pena decisa da Obama è retroattiva e va nel senso di un progetto di legge bipartisan, sponsorizzato dal senatore democratico Richard Durbin e da quello repubblicano Richard Lee, che renderebbe il “Fair Sentencing Act” retroattivo per alcuni condannati. La scelta del presidente è però motivata, oltre che da evidente elemento di “umanità”, dalla considerazione dell’ormai chiara insostenibilità economica del sistema penitenziario americano. Con il 5 per cento della popolazione mondiale, gli Stati Uniti hanno il 25 per cento di incarcerati al mondo. Ciascuno degli oltre due milioni di detenuti Usa costa almeno 24mila dollari all’anno, senza contare i miliardi spesi ogni anno in nuove costruzioni carcerarie (almeno 5 miliardi di dollari, secondo le stime più recenti). Nei 20 anni successivi al passaggio dell’“Anti-Drug Abuse Act” del 1986, la popolazione carceraria americana è passata da 300mila a oltre due milioni di persone. Tra il 1986 e il 1991 la percentuale di donne afro-americane detenute per reati di droga è cresciuta dell’828 per cento.

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