Affrontare la vita, nella sua bellezza, nella fatica delle difficoltà e delle problematicità in lei insite, quanto affrontare il morire, il dolore, il lutto, definiscono gli aspetti di fronte ai quali, la mancanza di linguaggi, di rituali o di spazi, in cui trovare contesti di condivisione per superare e trasformare i limiti naturali dell’essere umano, ci si trova spesso impreparati.
Considerare la filosofia come stile di vita e quindi come modalità diversa di vedere se stessi, il mondo e gli eventi collegati e determinati dall’esistenza, è un percorso nuovo e impegnativo, ma sicuramente produttivo di soluzioni utili e necessarie, a superare i momenti difficili, in particolare il dolore e la morte.
Sono vivo, ed è solo l’inizio. Riflessioni filosofiche sulla vita e sulla morte (Mursia, 2013) è un libro per tutti, per confrontarsi con quella parte della vita che si vuole tacere o non ricordare: quel pensiero scomodo che si cerca di relegare in un punto nascosto della coscienza. Il libro è nato dal bisogno dell’autrice, Laura Campanello, di tessere insieme teorie, esperienze, emozioni, storie di incontri e di vita che nel corso degli anni hanno fatto di lei la “professionista” e soprattutto la “persona che è ora”.
L’abbiamo incontrata.
Nelle antiche società arcaiche la morte era un fatto collettivo, che veniva condiviso insieme a tutti…
È necessario per noi vedere di quale percorso sociale, culturale, filosofico, siamo il risultato, per riconoscerlo e poterlo modificare. Parlo di bio-potere, di rimozione della morte, di delirio d’immortalità e onnipotenza… Tutto questo è frutto di uno sviluppo storico culturale e tecnologico che non va rifiutato o misconosciuto, ma letto criticamente perché ci si possa collocare in esso in maniera consapevole e tornare a scegliere come tematizzare e vivere la vita, la salute, il dolore, la felicità.
Come può aiutare la filosofia a ritrovare strade e linguaggi che rendano possibile la riflessione sul vivere e il morire?
La filosofia, recuperata dall’antichità e proposta non solo come discorso, ma come modo di vivere, dove il discorso filosofico è solo la giustificazione e la tematizzazione, ed aiuta a scegliere come vivere e come morire, aiuta ad esercitarsi per vivere una vita autentica, aiuta a vivere il tempo, la speranza, la felicità in maniera consapevole e quindi profonda.
Epicuro (il filosofo che curava le anime) dice: “Da ogni cosa ci si può mettere al sicuro ma per la morte abitiamo tutti una città senza mura”.
La morte, la fragilità, la precarietà riguarda l’umano, senza distinzioni per nessuno. Questo è ciò che da un lato ci permette di poter condividere l’esperienza della vita e del dolore, ma dall’altro è ciò che ci allontana da chi soffre – lasciandolo solo! – perché, nell’altro che soffre, vedo la possibilità del mio dolore, da cui non posso mettermi al riparo, perché gli sono esposto in quanto umano. Non guardare mai a tale dimensione della vita ci porta a vivere la vita con superficialità o con terrore, spesso. Guardarla in continuazione “mortifica”, intristisce la vita. La filosofia ci invita a dare senso e valore alla vita proprio perché non è senza fine, proprio perché ciò che viviamo è irripetibile e unico.
Che cos’è l’analisi biografica ad orientamento filosofico? Si tratta del tempo e dello spazio in cui ridare respiro all’anima?
Credo di sì: è un’analisi grazie alla quale si pratica la filosofia come stile di vita, alla ricerca di un senso che prende corpo ed emerge dalla vita concreta, radicata nella storia, nella cultura, nel tempo, nella biografia appunto. È un dialogo in cui ci si interroga sul senso del vivere, ci si colloca nella propria esistenza in maniera maggiormente consapevole, accettandola, facendosi carico di sé.
L’esercizio filosofico della morte può aiutarci a compiere movimenti esistenziali fondamentali per la vita umana? Come?
Sicuramente, e per questo lo suggerisco come via, ci aiuta a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, a concederci il diritto al pianto e al tempo del lutto; può aiutarci a ricollocarci meglio nella vita per “quella che è” e ritrovare, vivendoli, la speranza, la felicità, l’amicizia, il dialogo autentico.
Meglio alzarsi ogni mattina dicendo: “Sono vivo, ed è solo l’inizio!”
Alzarsi accorgendosi di essere vivi, perché non è scontato esserlo. Accorgersi che ogni giorno è il giorno in cui cogliere il bello e cercare di reggere e trasformare il brutto, in cui guardare alla “condizione in cui versa la propria anima” e cercare di renderla autentica e felice, nonostante tutto, il giorno in cui elevarsi dalla schiacciante quotidianità e vedere la vita dalla prospettiva del tutto, guardarsi dall’alto, dare la giusta misura a sé e agli eventi. Perché la felicità è possibile, nonostante tutto, non solo quando ciò che è faticoso o doloroso è assente.
Cosa vuol dire prendersi cura delle persone, nella fragilità, nella paura, nel morire?
Stare con loro e farli sentire meno soli, aiutarli a tessere trame di senso nella loro storia, per ritrovare direzioni possibili di vita, lasciarli esprimere paure, rabbia, smarrimento, che altrimenti non consentono trasformazioni possibili. Soprattutto per me significa fare ogni giorno l’esercizio filosofico della morte e sentire la profondità della vita, darle un valore e cercare di restituire una possibilità a chi crede di non averne più. Con il rispetto e la certezza che un percorso spirituale, religioso o non religioso che sia, è sempre possibile per tutti.