Succede che mi chiedano il commento quando esce una notizia, o pseudo-notizia, in ambito scientifico: a volte accetto e mi trovo a leggere o rileggere e pensare a cosa vorrei dire. Nella maggioranza dei casi tiro fuori qualcosa: avere un argomento è un ottimo esercizio per scovare pensieri nelle pieghe dei neuroni. Può accadere che scopra di non essere interessata quando l’argomento non cambia la sorte del mondo ed è stato messo lì per fare un po’ di rumore, per ribadire concetti che non miglioreranno la qualità della vita della gente.

Sulla disparità tra uomo e donna nel mondo della scienza c’è poco da raccontare. Dipende dal luogo, da chi dirige i centri, da quanto la materia è vecchia o nuova, dai baronati universitari, dalle fondazioni, dai soldi che girano intorno. La presenza delle ricercatrici nelle pubblicazioni scientifiche è la conseguenza di queste variabili impossibili da quantificare e riprodurre con una mappa: ci sono laboratori gestiti da donne e addirittura composti interamente da donne (ne parlo sul Libro dell’anno Treccani 2013), ci sono realtà che invece gratificano le donne solo in apparenza e le relegano a posizioni per niente incisive. Niente da stupirsi: anni fa il maggiore quotidiano nazionale italiano pubblicò un’intervista a un luminare della neurochirurgia milanese in cui affermava che le donne hanno un cervello meno sviluppato e non possono accedere a professioni come la neurochirurgia; tentai di ribattere scrivendo al quotidiano, non pubblicarono la mia lettera e risposero che il luminare in questione aveva tutto il diritto di esprimere il proprio pensiero. Era un medico, diamine! Anche io lo ero, ma non avevo il diritto alla pubblicazione della replica.

L’analisi pubblicata da Nature sulla relativa assenza delle donne nelle pubblicazioni scientifiche internazionali non solo non stupisce, ma non spinge a riflessioni di particolare peso. A leggerla bene, fa capire che neanche i ricercatori abbiano trovato il motivo della minore presenza delle donne come primo autore negli articoli scientifici importanti, quelli legati (anche) a sovvenzioni di ricerca più consistenti. Alludo a Bibliometrics: Global gender disparities in science di Vincent Larivière (guarda il caso: un uomo è il primo autore).
Se avete voglia di sentirvi ripetere l’ovvio senza ottenere spiegazioni andate sul sito e leggete: pare che le donne siano meno presenti rispetto agli uomini nelle pubblicazioni scientifiche nelle posizioni di maggiore prestigio, ma una ragione non si riesce a trovare. E la verità è che una soluzione non esiste perché ognuno di voi potrebbe, come me, attribuire a questi numeri e a questo ciclopico lavoro di revisione motivazioni che – in fondo – sono personali e derivano da singole esperienze. Una sola è reale, in Italia e nel mondo: alcuni centri danno alle donne lo spazio che meritano, altri no. E fine del commento.

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