Società

Genitori-figli: ‘Spero che dirai che è bello essere padre’ (parte seconda)

“Spero che dirai che è bello essere padre”. Ci eravamo lasciati così. Bene, ai sette quella frase, per un attimo, ha tolto la parola. Ci guardavamo con un sorriso, per capire se anche agli altri avesse fatto quell’effetto, caldo, rassicurante, spiazzante come sa esserlo la semplicità. Avete presente quello che disse che il re era nudo? Ecco, una cosa così. O forse ci stavamo solo domandando se è vero che è bello essere padri. Per noi sì, ma è anche così difficile. Quello del padre è un ruolo fragile che va costruito col tempo partendo dal nulla. L’uomo non possiede l’atto generatore, l’essere padre non è la realizzazione di una natura e una potenzialità intrinseche. Inoltre oggigiorno non abbiamo neppure più un cliché rigido a cui rifarci (il che potrebbe pure essere un vantaggio). Gli scenari sono molteplici e tutti da disegnare e c’è bisogno di confronto, di ricerca. Vi invito perciò a esporvi e a condividere, se ne avrete voglia, la vostra esperienza sia nello spazio per i commenti sia scrivendo la vostra testimonianza.

Per essere padri occorre, in primo luogo, essere uomini. Uno dei sette, professore alle superiori, racconta di essere solito chiedere agli studenti delle ultime classi di nominare quali siano gli aspetti forti del loro essere maschi. Ebbene, silenzio siderale (a differenza delle ragazze che, magari a fatica, però ce la fanno, a definirsi).

Sarà per questo che siamo circondati da messaggi che all’uomo chiedono il minimo e alla donna impongono invece mille e mille ruoli? È per questo che la pubblicità chiede al maschio di saper giusto guidare e proporre un brindisi, mentre dalla donna esige un pantheon di prestazioni? È per questo che nei cartoni i padri sono spesso dei cretini? Homer Simpson è un idiota, Peter Griffin è un minchione e anche il papà di Peppa Pig non è che brilli di luce propria.

Forse sono gli stessi motivi per cui la donna va sempre più assumendo il ruolo di genitore forte, presente, normativo e, all’occorrenza, frustrativo. Il padre no, non è più autorevole, non sa dire un no a quei figli che ignorano perciò quale sia il sapore di provenienza maschile della frustrazione, della negazione ferma, decisa ed educativa di una richiesta. Il padre, quando c’è, si accoccola sempre più nel ruolo del bravo e del buono. Oppure – appunto – non c’è.

Dove sono finiti i padri autorevoli? Perché ne avvertiamo la nostalgia, pur avendoli combattuti tanto tra i Sessanta e i Settanta, insieme a quell’idea borghese e asfissiante di famiglia che proprio non ci andava giù? Forse perché manca una proiezione chiara, manca nei padri l’immagine dei figli che dovrebbero avere in mente. I padri, credo, non sanno più dirsi che figli vogliono. Però vogliono piacere e compiacere loro, vogliono essere padri di questi figli di cui però non sanno niente. Non riescono a metterli a fuoco e allora li temono e li assecondano, che è ben altro dallo stile emancipante insito nel codice paterno, capace di bilanciare le (stereotipate?) ansie protettive di una madre con quei virili “ormai è grande, lasciamolo andare, saprà cavarsela, e comunque noi siamo qui…”. Non c’è più quel padre che, per amore, sa sopportare la paura dei primi voli dal nido in nome del lasciare andare i figli nel mondo.

Rompendo schemi secolari, l’uomo del XX secolo aveva (ha) accettato di esporsi, di rivelarsi come soggetto emotivamente coinvolgibile e coinvolto, perciò fragile e vulnerabile. Ecco, forse non ha retto. Forse è stato troppo, è entrato in conflitto con la tradizionale idea di sé, con quei medesimi modelli cui diceva di volersi sottrarre. Forse ha fatto il passo più lungo della gamba e ora avverte il lutto di ciò che è stato e più non sarà, poiché nel frattempo la donna ne ha fatto, di cammino. Da dove nasceva quel desiderio di diventare qualcosa di diverso, di esserci, per i figli, in modo nuovo? Perché adesso fugge? Cosa gli fa tanta paura? Forse l’idea che, guardandosi allo specchio, non troverà il riflesso, come capita ai vampiri?

Sarà per questo, dice sempre il professore, che mai come oggi i ragazzi hanno fame di famiglia e di genitori. Forse perché questi hanno poca forma, sono eterei, latitano e quindi se ne avverte la mancanza. Soprattutto dei padri, troppo deboli, pavidi e spaventati per proporsi come validi e riconoscibili, seppur scomodi, punti di riferimento. Quando il padre manca, si sente.

Quindi fatevi sentire e inviatemi le testimonianze di cui sopra a questo indirizzo claudiofiginiblog@gmail.com il vostro materiale troverà spazio nel blog.