Partono perché con un contratto precario e uno stipendio da mille euro non possono fare progetti, risparmiare, comprare casa o pensare a costruire una famiglia. Ma anche perché in Italia, dove essere “figli di” vale più di un curriculum, il merito non conta e le rendite di posizione sono l’ambizione di tanti. In più, non vogliono essere considerati ancora giovani a quarant’anni, un’età dove i loro coetanei stranieri ricoprono ruoli di responsabilità. I cervelli in fuga di cui abbiamo raccolto le storie su ilfattoquotidiano.it raccontano percorsi e professionalità diverse. Da Nord a Sud, però, sono spesso accomunati dall’impossibilità di realizzare sogni e ambizioni in Italia. Una condizione che li costringe a cercare fortuna e futuro altrove, lontani da casa.
C’è chi sceglie il settore della cooperazione in Africa, chi diventa manager in Malesia o negli Stati Uniti, chi decide di fare ricerca in Germania e chi, invece, torna nella città dove ha fatto l’Erasmus. E poi c’è chi vuole reinventarsi, costruirsi una carriera senza soffocare il tempo libero e offrire un futuro di possibilità ai suoi figli. O quanto meno provarci. Sono ricercatori, professori, fotografi e giornalisti. Ma anche farmacisti, infermieri, ingegneri, musicisti, cuochi, tecnici informatici, tour operator, biologi marini, sportivi, piloti di aereo, architetti, web manager e molti altri. Scappano all’estero anche gli eventi di successo. Un caso eclatante è quello del Rototom, festival patrocinato dall’Unesco e osteggiato dalla burocrazia italiana.
E la politica che fa? Prova a richiamarli, ma il più delle volte l’offerta del rientro non corrisponde a una gratificazione lavorativa. Il governo ha provato a intervenire più volte con programmi ad hoc per tamponare l’emorragia dei cervelli, ma spesso le iniziative si sono rivelate flop. Chi torna, poi, tante volte decide di ripartire. L’Italia, inoltre, punta soltanto a richiamare in patria chi se n’è andato. Diverse le politiche scelte da altri Paesi in Europa, tra cui Germania e Inghilterra, più interessati ad attrarre i migliori professionisti, indipendentemente dalla provenienza.
Per loro, l’Italia non è un Paese interessante. Secondo una ricerca condotta da Escp Europe e Hydrogen su duemila lavoratori specializzati, ci sono Stati Uniti, Regno Unito e Australia in testa alla classifica dei Paesi più ambiti, anche se ottenere un visto è complicato. Le prospettive occupazionali nel Bel Paese sono deludenti e gli italiani, secondo l’Ocse, non sono felici, a differenza di svedesi, canadesi e norvegesi. Stesso risultato che emerge anche dal Rapporto mondiale sulla Felicità dell’Onu, dove l’Italia scivola al 45esimo posto, dietro a Israele,Colombia o Messico. L’anno precedente eravamo 28esimi.