Creare lavoro, prima ancora di regolarlo. E’ questa l’essenza del “Piano di lavoro” del segretario del Partito democratico Matteo Renzi, anticipato da la Repubblica. Il sindaco di Firenze punta a presentare la sua proposta entro fine gennaio. La flessibilità non verrà abolita, “impossibile” pensa lo staff renziano. L’articolo 18 – già ammorbidito dalla riforma Fornero – non sarà più un dogma intoccabile, perché il vero obbiettivo da debellare è la precarietà. Come? Prima di tutto impedendo gli abusi dei contratti flessibili e di quelli interinali. L’obbiettivo è creare un contratto unico a tempo indeterminato, già proposto dagli economisti Pietro Garibaldi e Tito Boeri. L’articolo 18 – che regola i licenziamenti senza giusta causa, ma ormai, dopo il passaggio della riforma Fornero, prevede il reintegro solo nel caso di discriminazione – non sarebbe garantito ai neoassunti. Per loro verrebbe applicato solo dopo tre anni, nei quali l’imprenditore non pagherebbe i contributi che sarebbero a carico dello Stato.
Ai lavoratori flessibili verrebbero estese le garanzie su maternità e malattie. In caso di perdita di lavoro, al posto dell’attuale cassa integrazione, verrà elargito un sussidio di disoccupazione che sarà uguale per tutti. Nessuna distinzione di età anagrafica, dimensioni dell’azienda o alla posizione geografica. La linea guida del neo segretario democratico è il “pacchetto Hartz” che in Germania dal 2005 ha contribuito alla ripresa del colosso europeo, affiancando al sussidio di disoccupazione l’obbligo di frequentare un iter di formazione. Si andrebbe così a creare un doppio binario: da un parte il sussidio fungerebbe da ammortizzatore, dall’altra l’obbligo di formazione si trasformerebbe in una leva per introdursi nuovamente nel mercato del lavoro.
Ma per realizzare questo passaggio è inevitabile intervenire sui centri per l’impiego. Ad oggi le strutture contribuiscono solo per il 5% sulle assunzioni, contro il 20% in Gran Bretagna. L’idea dello staff di Renzi è integrare il lavoro dei centri pubblici con quello delle agenzie private. Per i sindacati Renzi pensa di far entrare i rappresentanti nei consigli di amministrazione delle aziende, sull’esempio di quello che accade i Germania. Ma qui sarà inevitabile lo scontro con gli industriali. Un altro nodo da sciogliere è quello sulla rappresentatività delle sigle sindacali. Serve una legge che ne riconosca l’effettivo peso per le contrattazioni. Una vecchia bandiera della Cgil e della Fiom che non potrà non registrare l’opposizione della Cisl di Raffaele Bonanni.