Narcotraffico, smaltimento illecito di rifiuti, riciclaggio di denaro sporco e, soprattutto, la presenza ormai radicata “di un’altra ‘ndrangheta, proveniente dalla zona di Cutro, in provincia di Crotone”, tra Reggio Emilia, Piacenza, Parma e Modena. Se il quadro tracciato dall’associazione Libera, che ha presentato il 3° Rapporto annuale sulle infiltrazioni mafiose in Emilia Romagna, descrive una regione “ambita” dalle cosche, Cosa nostra, Camorra e ‘Ndrangheta, dove i clan “delocalizzano le proprie attività”, a “spaventare” è principalmente un nuovo dato: quello fornito dalla Dna, la direzione nazionale antimafia. Secondo cui, “a causa di una consistente ondata migratoria in passato, gli affiliati ai clan hanno potuto godere di appoggi e coperture, loro riconosciute non sempre consapevolmente”. L’insediarsi della ‘ndrangheta nel territorio, scrive Libera, “in particolare quella proveniente dalla zona di Cutro, area da cui vi è stata la più massiccia emigrazione dalla Calabria verso l’Emilia Romagna”, ha dato origine “a una nuova definizione del fenomeno mafioso: una altra ‘ndrangheta all’opera in Emilia”. “Un gruppo di soggetti criminali – a volte affiliati, a volte nemmeno affiliati – che risultano godere in un largo margine di autonomia dalla locale madre di Cutro, ma sono obbligati nei suoi confronti per la rendicontazione dei risultati economici delle proprie imprese illegali impiantate in loco, tramite la corresponsione in quota maggioritaria di quanto incassato nel corso del medio e lungo periodo”.
L’insediamento oggi radicato dei clan mafiosi, spiega Libera, in Emilia Romagna “è silenzioso” e agisce sul tessuto produttivo, con usura, estorsioni e acquisizioni di imprese in difficoltà, sociale, via gioco d’azzardo e compro oro, e istituzionale, tramite gli appalti. E per questo, conferma l’associazione, è difficile da combattere. L’Emilia Romagna, certo, reagisce: “Ricordiamo tutte le leggi in materia, dalla prima contro le infiltrazioni mafiose in edilizia del 2010 a quella per la prevenzione del crimine organizzato del 2011, fino all’ultima, del luglio scorso, per il contrasto al gioco d’azzardo”, specifica la presidente dell’Assemblea Legislativa Palma Costi.
Tuttavia i dati forniti da Libera parlano di una colonizzazione in costante crescita, che in regione ha il suo nodo focale nel riciclaggio di denaro sporco: secondo il dossier l’Emilia Romagna è salita al quarto posto, dopo Lombardia, Lazio e Campania, per numero di segnalazioni di operazioni sospette, 5.192 in un anno, passando dalle 986 del 2008 al dato quintuplicato del 2012. I canali ‘lavatrice’ sarebbero principalmente due. I Compro oro, settore nel quale la Guardia di Finanza ha individuato esportazioni fittizie di oro per mascherare vendite in nero di metallo prezioso, e truffe con denunce di quantitativi di oro “non corrispondenti a quelli effettivi” per coprire furti e riciclaggio da acquisti in nero. E poi c’è il gioco d’azzardo, croce di un Parlamento che nei giorni scorsi si è spaccato sulla norma “salva slot” del Nuovo Centrodestra, con i Comuni preoccupati per l’emendamento che vorrebbe tagliare risorse pubbliche a chi emana norme restrittive diminuendo, così, le entrate dell’erario, che si dimostra ancora una volta asso nella manica delle organizzazioni criminali mafiose.
In questo caso, scrive Libera, l’attenzione delle forze dell’ordine e della magistratura nei confronti delle infiltrazioni in Emilia Romagna è particolarmente alto. Le due principali operazioni che si sono svolte nel 2013, Black Monkey e Rischiatutto, operazioni che hanno portato a 86 ordinanze di custodia cautelare, 540 milioni di euro in beni sequestrati e lo smantellamento di gruppi ‘ndranghetisti e di Cosa nostra catanese, “hanno dimostrato l’interesse delle organizzazioni mafiose”, “attive sul territorio con l’obiettivo di ripulire i proventi illeciti tramite la gestione di sale gioco e scommesse, l’imposizione di video slot taroccate, la gestione di siti per il gioco online illegale”.
Ma anche i dati relativi a estorsioni, lavoro nero ed ecomafie raccontano di un numero di episodi in costante aumento: se i casi di usura si sono mantenuti sui livelli degli anni precedenti, estorsioni e “danneggiamenti” a seguito di incendi, non direttamente di natura mafiosa, ma “reato spia” del fenomeno, sono aumentati in Emilia Romagna, secondo gli ultimi dati Istat, relativi al 2011. “E tutto questo – si legge nel dossier – è avvenuto mentre le denunce dei commercianti non si sono moltiplicate come auspicato”.
“L’Emilia Romagna – spiega Antonio Monachetti, referente di Libera Bologna – ha un pregio: qui le istituzioni non tentano di nascondere il rischio di radicamenti mafiosi nel territorio. Tuttavia c’è un aspetto rilevante che va interiorizzato, e cioè che la magistratura e le forze dell’ordine devono essere affiancate da una coscienza collettiva. Perché se i cittadini prestano attenzione a ciò che accade, è più facile individuare e contrastare le mafie. Le organizzazioni criminali si modificano velocemente, e non basta monitorare, perché i dati descrivono solo ciò che la mafia era qualche tempo prima. Invece, bisogna lavorare d’anticipo. In apparenza – conclude Monachetti – combattere la mafia è più facile in certi territori, dove vedi il mafioso ogni giorno. Ma non è sempre vero, perché in territori come l’Emilia Romagna, dove i nomi e i cognomi dei boss non hanno una storia pregressa, bisogna costruire una rete. E la rete deve essere solida e fitta”.