Diritti

Unioni Civili: discriminazione o grasso che cola?

La storia: Anna* e Luigi* sono una famiglia serena; alla loro “felicità domestica” manca solo un figlio. Che arriva con l’adozione di una bambina.
Un giorno Anna incontra Francesca, ed è lo sconquasso di cuore e ragione. Anna cerca di tenere segreto il suo amore per Francesca, anche perché ha paura che il marito, separandosi, le porti via la bambina, che ora ha dieci anni. E difatti è ciò che accade. Luigi, saputo della relazione, ferito anche da quel sentimento di Anna a cui non sa dare nome, per indurla a rompere con Francesca minaccia di toglierle la potestà genitoriale con la motivazione della “condotta immorale”. Per amore della figlia Anna rinuncia a Francesca. Poche settimane dopo, Francesca si uccide gettandosi sotto un treno. Nonostante il sacrificio di Anna, Luigi si separa riuscendo ad ottenere l’affidamento della figlia. Anna resterà sola per il resto della sua vita. Viva, ma come fosse morta.

Questa è una storia vera, una storia italiana, ed è accaduta a Roma una ventina di anni fa.

Malgrado le numerose proposte di legge, dopo tanti anni in cui l’Italia non si è ancora dotata di una normativa per la tutela delle convivenze, è arrivato giovedì 19 dicembre a Palazzo Madama un ddl per il “riconoscimento giuridico delle coppie gay e delle coppie conviventi, in conseguenza di una evoluzione del diritto di famiglia” presentato su iniziativa di alcuni senatori del Pd e di Scelta Civica.

In questo momento, su questi temi, in Parlamento pare esserci una maggioranza palese che può rendere il ddl legge e garantire finalmente la parità dei diritti auspicata dal Parlamento Europeo e contemplata dagli Stati membri.

Il disegno di legge propone l’istituzione di un Registro delle Unioni Civili per le coppie dello stesso sesso, equiparando i diritti economici, ivi compresa la reversibilità delle pensioni. Previsto anche l’istituto della ‘stepchild adoption‘, mutuato dalla Civil partnership inglese, che consente l’adozione del “figlio minore anche adottivo dell’altra parte dell’unione”. Il ddl propone altresì l’istituzione di un Patto di Convivenza a cui possono accedere sia coppie omosessuali che coppie etero. Queste ultime non possono accedere al Registro delle Unioni Civili perché già dispongono del matrimonio. L’istituto del Patto di Convivenza consente la condivisione di alcuni diritti di civiltà, quali l’assistenza sanitaria e penitenziaria, nonché la possibilità di subentrare nei contratti di locazione.

C’è, da parte della comunità omosessuale, un diffuso malumore riguardo a questo ddl perché vi ravvisa una discriminazione: “non arretreremo di un millimetro fino a che non ci sarà una benedetta legge che estenda il matrimonio, l’adozione e ciò che serve a fare dei cittadini Lgbt dei cittadini uguali davanti alla legge.” Il problema è l’uguaglianza. O c’è o non c’è. E in questo caso non c’è. Ma a ben leggere, la discriminazione pare esserci anche per gli etero i quali non potrebbero accedere all’istituto del Registro di Convivenza ma solo a quello del Patto.

Il fatto di poter decidere di non accedere all’istituto matrimoniale non si fonda sulla condizione di genere e l’orientamento sessuale, ma è un fatto culturale e di libertà di scelta, pena la pari dignità sociale e l’uguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali dell’art. 3 della Costituzione.

Detto questo, per un Paese conservatore come l’Italia, e per non dover più leggere storie come quelle di Anna e Francesca, quel ddl è tutto grasso che cola. Magari passasse.

* I nomi di Anna, Luigi e Francesca, per ragioni di privacy sono inventati.