Dopo le anticipazioni sul piano di riforma del mercato del lavoro a Repubblica e la comparsata nel salottino del gaudente Fazio a Che tempo che fa, ora sappiamo che anche secondo Matteo Renzi ed i suoi consiglieri economici la via per ridare lavoro e speranza a milioni di giovani privi di occupazione è quella di riformulare, nuovamente, le regole del mercato del lavoro. Non sono bastate evidentemente le riforme succedutesi negli ultimi quindici anni. Probabilmente ne abbiamo finanche perso il conto. Però abbiamo potuto constatare con certezza matematica che non hanno prodotto alcun risultato. Il declino occupazionale è proseguito. E con esso è arretrata la produttività, che proprio dalle “rivoluzioni” del mercato del lavoro avrebbe dovuto trarre giovamento.

D’altra parte non bisogna mica essere fini economisti per comprendere come in un contesto di crescita prossima allo zero o addirittura di decrescita, nessun pacchetto Hartz, a cui pare si richiamino le proposte di Renzi, avrebbe fatto il miracolo di creare nuovi posti di lavoro.

Eppure continuiamo ad insistere sulle regole del lavoro. E non sulla necessità di mettere in condizione l’industria di agganciare gli spiragli di crescita che si stanno aprendo su scala globale. In ciò prospettando riforme strutturali, una vera e propria politica industriale, che certo ricomprenda il tema del lavoro, ma vada ben oltre esso e la flessibilità in entrata o in uscita.

C’è, in particolare, un tema enorme, assolutamente ignorato dalla politica, che riguarda la specializzazione produttiva. Che nel nostro caso è troppo debole, fondata com’è su segmenti “poveri”, maggiormente aggredibili dalla concorrenza, come il tessile, le calzature, gli alimentari, l’ottica.

Sarebbe ben più urgente puntare su una grande operazione di “riconversione” industriale verso settori in parte già presenti, ad alto valore aggiunto, scarsamente imitabili. Ma è un’operazione complicata, difficile da spiegare, da far digerire, di troppo ampio respiro temporale e dunque di scarsa spendibilità politica immediata. Perché è inconciliabile con l’impellenza di Renzi di sparare ricette che, senza probabilmente poter essere una risposta alla disoccupazione dilagante, possano però toccare le corde del medio nano-imprenditore italiano. E quindi di un pezzo di elettorato decisivo per allargare, in vista di elezioni imminenti, il proprio consenso oltre i confini tradizionali della sinistra.

Drammaticamente illuminanti tornano in mente alcune parole che Salvatore Rossi, direttore centrale per l’area ricerca e relazioni internazionali di Bankitalia, pronunciò nel marzo del 2010 in una relazione con al centro il tema del rilancio della competitività: “è nel […] campo delle politiche cosiddette strutturali che la capacità decisionale del sistema politico viene messa alla prova decisiva…”.

Aspettiamo fiduciosi, ma sempre più disincantati, che la politica e Renzi stesso forniscano la prova decisiva.

Tiwtter: @albcrepaldi

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