Cronaca

Militari, l’odissea del ridicolo: a processo per aver salvato un gatto

Il passaggio più comico, diciamocelo, è quel “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso” che starebbe scritto, secondo quanto riporta Andrea Pasqualetto su Il Corriere della Sera, nel dispositivo di rinvio a giudizio per insubordinazione, articolo 173 del Codice penale militare: “Il militare, che rifiuta, omette o ritarda di obbedire a un ordine attinente al servizio o alla disciplina, intimatogli da un superiore, è punito con la reclusione militare fino a un anno”.

Il militare in parola è in verità una militare, Barbara Balanzoni (di evidenti origini bolognesi, come tradisce il rotondo cognome), anestesista nella vita vera, tenente medico della riserva selezionata (sono medici, giornalisti, ingegneri, eccetera che accettano di prestare servizio militare per alcuni mesi in genere durante operazioni all’estero). Più o meno due anni fa si trovava a Peja in Kosovo con le truppe italiane dell’operazione Nato Joint Enterprise. E lì è successo il fattaccio, o meglio il “disegno criminoso”. Avrebbe disobbedito a una disposizione del comandante per aver assistito una gatta che probabilmente sarebbe morta a causa di un parto complicato. Agata sarebbe il nome della micia, che non sembra sia stata citata però dalla Procura militare di Roma tra i testimoni. Evidentemente pensano di avere prove schiaccianti contro la tenente BB dopo quasi due anni di indagini intese, tanto che il processo è già stato fissato per il 7 febbraio prossimo. Una prova che la giustizia in Italia, se vuole, sa funzionare. Per una volta possiamo essere certi che l’imputato non se la caverà con la prescrizione, che va così di moda oggi. Finalmente siamo anche noi un Paese normale.

Per fortuna, dovremmo dire, visto che la Balanzoni, originaria di Crevalcore, ormai la conoscono tutti, ma proprio tutti: ne hanno parlato i russi delle Izvetzia n3el loro notiziario internazionale che viene diffuso in spagnolo, arabo, cinese, e russo naturalmente, gli ungheresi di Népszabadság OnLine, The Guardian. Il sito uk.trendolizer.com  alle dieci del mattino registrava già 2800 condivisioni, un servizio è andato su una rete televisiva danese, sul sito venezuelano Ultimas Noticias, ne hanno parlato naturalmente gli albanesi di shqiptarja.com  e non hanno perso l’occasione per fare dell’ironia. Un ente italiano, l’Enpa, di cui nessuno aveva più sentito parlare da un bel po’ di millenni fa quando la maestra di seconda elementare mi spillò sul bavero del cappotto il loro distintivo rotondo con la croce azzurra, è risorto dal pluridecennale letargo ed è già riuscito a raccogliere diecimila firme a sostegno della nostra BB.

Eppure questa tenente non ha proprio l’aria di essere una sovversiva o una che alla mattina quando si sveglia studia il modo per insubordinarsi meglio. La sua pagina Facebook mostra una persona amica delle forze armate, una che tra i suoi film preferiti tiene “Codice d’onore” (anche se tra i libri c’è un’inquietante Mafalda, la ribelle dei cartoon disegnata da Quino, segno di un’indole non docile che per un militare, soprattutto se donna, non è un buon viatico), una che nella foto di apertura del suo profilo Google+  la si vede orgogliosamente in divisa con la fascia blu delle grandi occasioni, una che firma petizioni a raffica per Latorre e Girone, i due militari italiani trattenuti in India.

Una che finito il suo impegno con l’Esercito, è saltata su un aereo ed è volata in Afghanistan, a Khost, con Médecins sans Frontières, come si apprende dal suo profilo Linkedin. Insomma non proprio il tipo psicologico dell’insubordinata. Certo, un po’ rompiballe deve essere se, sempre nella sua pagina Facebook (se non ci fosse, Facebook, dovrebbero inventarlo, almeno per i giornalisti) mette un link a una sentenza della Cassazione su “il medico che non dissente da decisioni errate è responsabile di omicidio colposo”. Indizio di carattere per lo meno indocile. Ma da un link a un tribunale, il passo è davvero troppo lungo.

Insomma, per l’immagine del nostro Esercito una Caporetto bella e buona. La povera Balanzoni evidentemente aveva toccato qualche nervo scoperto di qualcuno dei suoi capi che appena possibile gli ha fatto vedere chi comanda. Una vendetta si può capire, ma che al “te lo faccio vedere io” di qualche capetto si siano accodati carabinieri  e un sfilata di procuratori e giudici si capisce un po’ meno. Va bene che a non fare nulla, come succede ai magistrati militari, ci si annoia come dimostrano le circolari sulle segnalazioni alla procura dei malati, non si sa mai che simulino. Ma insomma, “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso” lo vedrei meglio per la banda Bassotti che per la dottoressa Balanzoni.