Chiedo scusa in anticipo, perché quando nel nostro capitalismo si solleva un coro di approvazione verso un fatto o un evento, questo diventa intoccabile e guai a muovere una critica. Con un notevole tempismo, mentre l’economia americana avanza oltre il 4% di Pil, mentre la Cina atterra sulla luna con la sonda Change-e3, anche noi abbiamo uno scatto di orgoglio nazionale e torniamo a sognare sulle piume d’oca del piumino Moncler! Un risultato senza precedenti in Borsa, 3,5 miliardi di quotazione, 15 euro ad azione e tutti fino all’ultimo usciere ingolositi. E poi gli alfieri del Made in Italy con polmoni gonfi in tv che citano Leonardo Da Vinci (!) e la nostra genialità italica. Noi siamo geni, ma geni del fumo! Il fumo è ormai il nostro patrimonio genetico, un giorno costruiremo casseforti per il fumo uniche al mondo. Ma di cosa stiamo parlando? Piumini d’Oca!

Dove sono brevetti, innovazione, tecnologia, estro, tipicità di prodotto, proiezione di business? Non c’è comunità nel mondo che non sappia e non possa produrre un piumino al costo non superiore ai 20/30 euro ed è già ora così. Un oggetto che consiste in 150/250 grammi di piume e due metri di tessuto. Un capo stagionale non soggetto a particolare usura e ricambio. Una rete distributiva che d’estate può anche chiudere. Se anche disponesse di bottoni d’oro, nulla al mondo giustificherebbe il prezzo di 500 fino a 900 euro a pezzo. E allora come si spiega? È la conferma che siamo sempre fermi lì, come trenta anni fa (non è un caso che Moncler fosse già un simbolo negli anni ’80) la differenza la fa il “marchio”, il carisma di un bollino come attestato di appartenenza, privilegio da indossare a testa alta, per il quale l’impiegato accetta di spendere un terzo dello stipendio.

Tra le innumerevoli cause del nostro stato, mi sento di affermare che l’apparenza, la sfrenata mania di apparire è il nostro peggior peccato. Ne siamo così pregni che nemmeno ce ne avvediamo. La crisi non fa in tempo a riportarci con i piedi per terra, ed ecco che arriva la quotazione a 3500 miliardi di una società che produce non filtri speciali anti-inquinamento da vendere al Governo Cinese, ma giacche invernali alla moda da vendere al ragazzotto che deve passeggiare a Cortina. E si scomoda pure Leonardo da Vinci.

Non so se la corsa a Piazza Affari sia servita per rafforza l’azienda o a monetizzare soci e partners. Leggo che in fase di quotazione, Moncler ha trasferito marchi e utili a una diversa società controllata dagli stessi azionisti. Cominciamo bene! La storia ci insegna che sono sempre i piccoli a rimetterci quando si gonfiano certe bolle. Speriamo di no. 3500 miliardi vale una società che produce giacche, 2,5 miliardi è il valore del Monte dei Paschi di Siena, attivo dal 1472. La cosa non può non farci riflettere.

In un libero mercato tutti abbiamo il diritto di produrre tutto e al maggior prezzo che siamo capaci di realizzare, ma continuare a investire su una sottocultura dell’apparire, che vuol dire poi aver bisogno di masse di consumatori ingenui, ciò al giorno d’oggi dovrebbe essere proibito! Abbiamo già vissuto quel circolo vizioso, adesso è ora di voltare pagina.

Ps: Approfitto per fare gli auguri di buone feste alla redazione e ai lettori del Fatto Quotidiano.

In collaborazione con Alox Cross Media Player

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