Matteo Lunardini, autore di un giallo, doveva parlare del suo libro durante un evento con l'impramatur del Consiglio di zona 7. L'opposizione di centrodestra si oppone citando alcuni suoi articoli sui rapporti tra cosche, estrema destra e politica lombarda
Milano, mafia, politica. La Procura indaga. Il Tribunale condanna boss, picciotti, imprenditori. Non ancora politici. Eppure i nomi di consiglieri e assessori, dai comuni fino alla Regione, stanno scritti nelle informative della polizia giudiziaria. Alcuni, pur avendo avuto contatti con i clan, non sono stati mai indagati. Altri, invece, sì. E uno solo, ad oggi, si ritrova alla sbarra con l’accusa di voto di scambio e concorso esterno: è Domenico Zambetti ex assessore regionale alla Casa nell’ultima giunta di Roberto Formigoni. Fino a qui il riassunto più o meno noto. Ora la novità. Perché chi scrive di queste dinamiche, chi mette nero su bianco non solo la presenza della ‘ndrangheta all’ombra del Duomo, ma anche i collegamenti (confermati dalle inchieste) con l’estrema destra milanese e assieme le infiltrazioni nell’establishment politico lombardo, si ritrova messo alla porta da quella parte di politica ( su cui maggiori sono le ombre di collusione) che gli nega la possibilità di presentare il suo primo romanzo giallo e non, si badi bene, un libro che promette di svelare gli ultimi segreti dei padrini alla milanese.
Succede a Matteo Lunardini, autore di “Fantasmi dell’Arena”. Ex impiegato pubblico, giornalista e collaboratore di diversi quotidiani (da Il Manifesto al Fatto quotidiano), lo scrittore il 16 dicembre 2013 avrebbe dovuto presentare il suo libro in un locale di piazza Piemonte a Milano, noto per ospitare eventi narrativi a sfondo sportivo. Della partita, è proprio il caso di drilo, doveva essere anche l’intramontabile leggenda dell’Inter Sandro Mazzola. Ma così non è stato. L’evento, infatti, doveva avere l’imprimatur del Consiglio di zona 7 (Baggio), area di Milano dove peralatro l’autore è nato e cresciuto. Imprimatur o patrocinio gratuito. Per capirci: sulla locandina e sui volantini sarebbe dovuto comparire il simbolo consigliare. Niente di più e non un euro pubblico sborsato. La proposta era stato presentata da Lorenzo Zacchetti, Presidente della Commissione Sport, Benessere e Tempo Libero. Il 5 dicembre 2013, durante una seduta consigliare e dopo quattro ore di dibattitto, la questione viene affrontata. Parla Forza Italia e boccia l’iniziativa. Qualcuno sostiene che una manifestazione con il timbro del Consiglio di zona non può essere fatta in un luogo privato dove bisogna pagare per consumare. Altri, invece, come Irene Pasquinucci, giovane consigliera di Forza Italia, recentemente passata nel Nuovo centro destra di Angelino Alfano, alza il tiro e punta il dito contro l’autore stesso. E dopo aver detto che Lunardini “è un giornalista in gamba che collabora con il Fatto”, legge poche righe di un suo articolo. Dice: “Infiltrazioni nelle beghe del potere, oggi Lega Nord o Pdl, dividendosi in piccole fazioni pronte ad agire come irrazionali squadracce, cooptando la malavita o scendendo a patti con le squadracce”. Quindi conclude: “Non possiamo assolutamente votare una cosa del genere”. Risultato: la presentazione del libro salta.
Insomma, per certa parte della politica milanese scrivere che in città c’è la ‘ndrangheta resta ancora un tabù. Va detto poi che i virgolettati letti in pubblico dalla consigliera ex Fi sono stati tratti da un articolo di recensione del libro Fascisti a Milano di Saverio Ferrari. Da qui termini e linguaggio. E del resto le stesse inchieste della Procura di Milano nel 2011 hanno fotografato il tandem neofascisti-cosche e i rapporti con la politica. Era l’indagine Redux-Caposaldo che per buona metà si è occupata degli affari della cosca Flachi, del racket dei paninari, il tutto gestito, con il supporto di altri luogotenenti, da Pino Amato, condannato per mafia (primo grado), già vicino all’estrema destra milanese. All’epoca e a ridosso dalle ultime elezioni comunali fece notizia la vicenda di Marco Clemente, candidato del Pdl sostenuto dalle frange malavitose degli ultras e intercettato a colloquio con lo stesso Amato. L’indagine sul clan Flachi si è conclusa in primo grado con molte condanne anche per associazione mafiose. Un processo non semplice che ha mandato in archivio scene da omertà alla milanese.