Immaginate un presepio natalizio popolato da famigliari e amici al posto di pastori e Re Magi: tutti lì, in miniatura, immobili, artificiali e maledettamente veri. Tra Blade Runner e il museo delle cere di Madame Tussauds.
Oggi è assolutamente possibile, e ancora una volta le novità tecnologiche dettano le mode.
Si tratta di questo: le nuove stampanti 3D, nate per realizzare prototipi a partire da disegni tecnici, hanno iniziato a sfornare alter ego tridimensionali di noi stessi.
In uno studio fotografico opportunamente attrezzato si viene fotografati e la foto, elaborata da un apposito software, viene “modellata” da una speciale stampante (una sorta di tornio digitale) e riprodotta sotto forma di statuetta. Quella statuetta ci riproduce, nelle dimensioni prescelte, in maniera assolutamente realistica.
La faccenda dei Selfie 3D (così si definiscono) è partita in Giappone, dove esistono già diversi studi da cui chiunque può uscire col proprio simulacro tra le mani.
Non c’è limite alla fantasia, e dunque qualcuno non si limita a clonarsi, ma si fa “trapiantare” la testa sul corpo di una bambola, di Superman, ecc.
E già a Berlino e Londra operano i primi studi per Selfie 3D della vecchia Europa.
Fin qui l’aspetto ludico, tecnologico, commerciale e, se vogliamo, di costume.
Forse però c’è anche da considerare il risvolto legato alla fotografia e al ritratto. Pittura, scultura e fotografia hanno, nel tempo, dato corpo al desiderio di un proprio ritratto, prima appannaggio di regnanti, nobili e borghesi, poi di tutti (o quasi).
Ma pittura e fotografia, nella loro bidimensionalità, ci appaiono comunque “altro da noi”, e la scultura esiste nella terza dimensione ma si esprime nella sua matericità specifica.
Paradossalmente, per avvicinarci al terreno di cui stiamo parlando, bisogna guardare all’opera di alcuni artisti contemporanei. Cito – uno per tutti – Maurizio Cattelan, che parte dall’iperrealismo per raccontare metafore. Il Papa colpito da un meteorite, Hitler che prega, riprodotti a grandezza naturale fedelmente in ogni minimo dettaglio, vivi nel loro “istante decisivo” (e così torniamo violentemente sul terreno fotografico).
Quelle di Cattelan sono impossibili fotografie solo immaginate, eppure concrete e “vere” davanti ai nostri occhi.
Ma lo scarto dei Selfie 3D rispetto ai limiti e alla fragilità della nostra percezione è ancora maggiore. Quasi non fossimo preparati.
Sappiamo quanto diffidenti verso il ritratto fotografico siano alcune culture, che ritengono l’atto del “prendere la foto” equivalente ad un “furto dell’anima”.
Oltre a questo c’è di mezzo anche la concezione del tempo: ricorda Tonino Guerra di quando, in compagnia di Michelangelo Antonioni, quest’ultimo scattò alcune Polaroid a tre vecchi mussulmani incrociati durante i sopralluoghi per un film. Nel dargliele in regalo prima di separarsi, questi non le accettarono, e restituendole al regista gli dissero: ”Perché fermare il tempo?”
Ebbene, guardando questi “noi stessi” che a loro volta ci guardano, falsi ma veri, morti ma vivi, zitti ma parlanti, piccoli ma enormi, l’inquietudine ancestrale e irrazionale che ci inoculano può essere quasi insostenibile. Il confine tra gioco divertente ed esperienza del subconscio svanisce, e tutti i fantasmi evocati da Roland Barthes ne La camera chiara si mettono a ballare attorno a noi.
Perché non ce lo diciamo pur sapendolo: come ogni ritratto, anche il nostro Sefie 3D ci sopravvivrà, ma questo ci assomiglia troppo per accettarlo.