C’è voluto il gesto eclatante di Khalid Chaouki affinché il governo e la sua composita maggioranza, abbandonassero per un attimo il rimpallo delle colpe (“è colpa della Bossi-Fini”, “no, è colpa delle cooperative che gestiscono i centri”) per occuparsi dell’emergenza. Già, perché aldilà della politica e delle misure da adottare per il futuro, c’era un’emergenza umanitaria da fronteggiare: ora, non dopo brindisi e panettoni.
E non ci sarebbe stato neppure bisogno della reazione furiosa dell’Europa, che la settimana scorsa aveva minacciato sanzioni all’Italia, per il trattamento disumano riservato ai richiedenti asilo nei CIE, che stanno lasciando il lager di Lampedusa in queste ore e forse potevano essere trasferiti già una settimana fa.
O magari quella prima. O forse già a Novembre. Cosa aspettava il governo? Aveva bisogno di indagini più approfondite sullo stato di degrado dei centri di detenzione italiani? Le condizioni disumane dei CIE sono note e non dall’altro ieri: basti pensare al celebre reportage di Fabrizio Gatti quando nel 2005 si “infiltrò” nell’ (allora) Centro di Permanenza Temporanea di Lampedusa o alle proteste di Haidi Giuliani e Francesco Caruso, quando nel 2006, allora parlamentari, compirono un gesto analogo a quello del deputato del PD. Ma l’azione di Chaouki, oltre ad aver dato una coraggiosa risposta all’emergenza umanitaria in corso, ha avuto un forte impatto sul piano simbolico aprendo una crepa nel muro invisibile che fino ad oggi, in Italia, aveva diviso nell’immaginario collettivo “noi” (gli italiani) e “loro” (gli immigrati).
Finalmente anche in Italia, si vedono i risultati positivi dell’integrazione in funzione di antidoto alla xenofobia e di megafono per le spinose questioni dei migranti. Qui in Olanda, il traghettamento dell’identità culturale degli allochtonen (i cittadini nati nei Paesi Bassi da famiglie non originarie dell’Olanda) nella cultura nazionale, ha raggiunto l’apice diversi anni fa, portando in parlamento i nuovi olandesi che hanno contribuito a rendere mainstream il dibattito sull’Islam e la questione immigrazione; temi questi, strappati al monopolio mediatico delle paranoie islamofobe di Geert Wilders e offerti cosi al paese attraverso chiavi di lettura alternative di rappresentanti politici della nazione, olandesi e stranieri allo stesso tempo.
Cosi è stato per Tofik Dibi, il “Khaòid Chaouki olandese”; 33 anni, nato nei Paesi Bassi da famiglia di immigrati del Marocco, una delle comunità che ha trovato maggiori difficoltà d’integrazione nel paese. Nella sua esperienza parlamentare durata tra il 2006 ed il 2012, è stato un personaggio noto ed apprezzato sul palco politico nazionale; giovane e pacato, istruito e dalla battuta pronta, ha contribuito attivamente a sgonfiare la crociata anti-islam del partito di Wilders (il quale ha trovato nei migranti comunitari nuove e più, elettoralmente convenienti, “vittime sacrificali” rispetto al blasonato islam) raccontando al paese la sua storia di musulmano nato in Europa da una famiglia immigrata dal Marocco. Ossia la storia che Khalid sta raccontando oggi all’Italia e che potrebbe contribuire attivamente a combattere la retorica anti-migrante.