Di fronte all’immobilismo della situazione politica italiana, stretta nella morsa delle piccole intese, il neo segretario Pd cerca di smuovere artificiosamente le acque. Dopo aver fatto pace con la Fiat di Marchionne al culmine del contenzioso con la Fiom, il nostro giovane rampante annuncia il “Job act”, una serie di proposte sulla regolamentazione del mercato del lavoro che richiama addirittura il “Labour Act” di Roosveltiana memoria del 1933.

Ma a differenza di Roosvelt, le ricette di Renzi sembrano una minestra riscaldata, per di più particolarmente insipida. Vediamo perché. Il modello preso a esempio è quello danese, dove la protezione sociale per i lavoratori è particolarmente elevata: il reddito minimo è considerato sia come misura di assistenza sociale che come contributo per l’avviamento di una vita autonoma e impone al beneficiario di partecipare a corsi di formazione o altri programmi di incentivazione all’occupazione. E’ il modello della flexsecurity, termine noto in Italia per essere stato un cavallo di battaglia di Mr. Ichino ai suoi tempi d’oro, quando dettava la linea sul lavoro per il Pd, prima di passare nelle file di Monti.

Si tratta della solita solfa (che peraltro non tiene conto che tra Danimarca e Italia ci sono “alcune” differenze strutturali!). Di fronte alla situazione drammatica del mercato del lavoro, persino ammessa dalla Confindustria (l’ipocrisia delle lacrime di coccodrillo), l’astro nascente del Pd ribadisce la politica dei due tempi, più volte denunciata da San Precario. Un primo tempo che richiede ancora una volta la disponibilità a rinunciare ad alcuni diritti fondamentali, in vista di un secondo tempo che dovrebbe garantire, in un futuro non meglio definito, alcune garanzie di sicurezza sociale.

Non stupisce quindi la proposta “rivoluzionaria” di Renzi (che ha subito ottenuto il plauso di Confindustria): i giovani neo assunti, se vengono assunti con contratto a tempo indeterminato, devono rinunciare alle già scarse (post riforma Fornero) tutele dell’art. 18 contro il licenziamento indiscriminato, almeno per i primi tre anni. In tal modo, non si fa altro che certificare il vecchio, ovvero ciò che è già prassi nel mondo del lavoro. Oggi, infatti, secondo i dati del Ministero del lavoro, l’80% delle assunzioni avvengono con tipologie precarie (solo il 2,4%, con buona pace di Fornero, per apprendistato, oltre il 60% per contratti a tempo indeterminato). Ciò significa che solo 2 su 10 hanno un lavoro stabile. Rendere instabile tale 20% per tre anni con la liberalizzazione dei licenziamento non sembra quindi una grande innovazione!

Renzi parla anche della necessità di riformare gli ammortizzatori sociali e di introdurre forme di reddito minimo. Ma se le risorse sono quelle misere stanziate nella Legge di stabilità, per di più in modo fortemente condizionato, nulla può cambiare. San Precario sfida Renzi a parlare di secur-flexibility, ovvero a introdurre prima forme di garanzia incondizionata di reddito, in grado di sostituire in modo progressivo l’attuale iniquo, distorto e selettivo (quindi inaccettabile) sistema di ammortizzazione sociale e solo dopo discutere di regolazione del mercato del lavoro. Altrimenti siamo sempre alla stessa pagina (parolaia), ma con l’aggravante che la situazione sociale si disgrega sempre più, con tutti i rischi e le possibili derive sociali che ciò comporta. Ancora una volta, il nuovo travestito da vecchio, anzi d’antico.

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