Gianni Gipi Pacinotti, 50 anni, è l’autore del fumetto del momento. Si intitola Unastoria: l’editore, Coconino, lo ristampa e già progetta una terza edizione, mentre Domenico Procacci, nume tutelare della Fandango che include la casa editrice, ha candidato il libro, caso unico per il mondo delle nuvolette, al Premio Strega. I cui responsabili si sono anche detti possibilisti sull’ammissione del titolo gipiano (il regolamento assegna il premio a un “libro di narrativa in prosa di autore italiano”, ma non esclude a priori l’uso delle immagini).
Dodicimila copie stampate finora, di cui 700 “bruciate” nella tre giorni di Lucca, per questa storia a metà tra l’oggi di Silvano Landi, 50enne scrittore di successo in crisi coniugale e di identità, e il passato di suo bisnonno, soldato nelle trincee della Prima guerra mondiale, autore di lettere “dell’ultimo minuto”, scritte alla moglie prima di andare incontro alla mitraglia degli austriaci (in una tavola di Gipi leggiamo anche le diverse bozze cancellate prima della “bella”). Silvano, affascinato da questa corrispondenza, ne fa una mania, fino al ricovero in una clinica psichiatrica, non prima di essere abbandonato, per l’esasperazione, dalla moglie a una stazione di servizio. Il resto della storia sarà il dipanarsi della vita di clausura di Silvano, del suo rapporto con la figlia, coi medici, con la realtà e con la natura, che si intreccia alla storia del trisavolo in guerra.
126 pagine di china, penna, acquerelli caldissimi, quasi arsi dal fuoco, poi freddi, gelidi, bitumosi, a seconda che raccontino la trincea o un tramonto o un favoloso, felliniano campo da tennis, dove, oltre la rete, spunta un albero immenso, come una partita con la natura che per il giocatore-uomo è sempre persa in partenza. Una sconfitta, quindi, accettabile, onorevole, già messa in conto, come il tempo che passa, come il segreto ha portato Gipi a “far pace” col mondo, e che lui stesso ci racconta in questa intervista.
Gipi, intervistandoti in tv, di recente, Concita De Gregorio ti ha chiesto se non sia magari “riduttivo” parlare di fumetti per il tuo lavoro. Ma allora la parola giusta è graphic novel?
La parola per descrivere il mezzo che uso per cercare di generare emozioni in chi legge esiste già: “fumetto”. Non sento alcuna esigenza di inventarne una nuova. Perché per me un buon fumetto è proprio un’opera dove disegno e testo lavorano insieme per tradursi in emozioni per il lettore. Questo lavoro su due binari paralleli e di uguale importanza io la chiamo “scrittura” del fumetto. Ma solo perché mi torna comodo usare una parola semplice. Quindi, facciamo che non abbiamo bisogno di nobilitare il fumetto come non abbiamo bisogno di nobilitare la letteratura o il cinema. Del resto in letteratura abbiamo “Cinquanta sfumature di grigio” e non mi sembra che questo abbia imposto la ricerca di un nuovo termine per indicare la “buona” letteratura!
Che significato ha per te la candidatura di unastoria al Premio Strega?
I premi sono importanti per diffondere un’opera. Ma io sono un autore. Il mio interesse è soprattutto per la realizzazione dell’opera, per il racconto e, in misura un poco minore, per la diffusione presso i lettori. Se allo Strega accetteranno la candidatura di unastoria sarò contento, perché così, chissà, persone che non lo avrebbero mai avvicinato potrebbero trovarselo sotto gli occhi. Per il resto, un premio non cambia la mia idea del lavoro fatto. Sono contento di unastoria, non lo sarò di più se il libro sarà in lizza per lo Strega.
A un amico un po’ digiuno della materia, che ti chiedesse di fargli leggere un bel fumetto, tu che cosa daresti in mano?
Maus di Art Spiegelman.
Chi è Gipi, oggi?
Lo dico a denti stretti: ho smesso di pormi la domanda…
Quanto c’è di te in Silvano Landi, il protagonista di unastoria?
Sicuramente c’è roba mia in Silvano Landi. Mentre lavoravo al libro non me ne rendevo conto, ma ora, incalzato dalle domande di lettori, giornalisti e critici, mi rendo conto che tra me e lui ci sono vicinanze.
E invece chi è Landi, come nasce?
Non userei l’espressione “un cinquantenne in crisi”, diciamo che è un uomo di oggi. Un occidentale contemporaneo che soffre senza un motivo reale, quindi ridicolo, a modo suo, ma che mi fa tenerezza, anche per questo suo essere ridicolo. Landi è un uomo, sopratutto, che è “caduto fuori” dalla natura.
Per il fatto di raccontare la vita anziché viverla, come gli rimprovera la moglie?
Non solo. Le ossessioni visive di Landi, l’albero, soprattutto, sono lo specchio delle riflessioni che ho fatto negli ultimi anni per il mio sentirmi “fuori” dalla natura. Finché ho capito che lo stesso concetto di dentro e fuori dalla natura era una contraddizione. La natura benevola, la natura malevola… Sono tutte cretinate. Dio, come si dice nel film Train de vie, probabilmente non sa che l’uomo esiste. Il sole ci scalda senza saperlo.
Qual è la mania, la “follia” di Landi che lo fa sentire “fuori” dalla sua natura? E nel tuo caso che è accaduto?
La sua è la mancanza di senso. Ma so che nello scrivere la sua storia ci è caduta la mia questione del non poter avere figli. E quindi la sensazione che Dio, la natura, mi potessero detestare. Voglio dire, Pacciani ha avuto figli. Göring ne ha avuti sei. Perché io no? Quando mi hanno dato la notizia una voce primitiva mi ha sorpreso. Una voce che non sapevo di avere. Sul piano razionale non me ne importava niente, ma dentro avevo una specie di Homo Sapiens urlante. Da lì è partito un processo di pacificazione. E unastoria è il certificato di pacificazione. Le ultime parole di Landi al medico sono “ero solo stanco”. Come dire, non è un dramma: “Fanculo, capita. Ero stanco”. E lì “parte” il mondo. Cinque pagine di paesaggi a volo d’uccello. Una pacificazione, un’inclusione, comunque, nel mondo.
E l’Italia di oggi non ti viene voglia di raccontarla? O il tritacarne virtuale di Facebook, dove ti si trova spesso, ti serve per “cancellare la lavagna”, come direbbe Wittgenstein, a scaricarti e tenerti il meglio per altro?
Sì, per me questo libro sta su un piano antico, primitivo. Mi interessa esattamente quello, pulire i pensieri e scaricarli, depurarli dalla contemporaneità.