Pubblichiamo una serie di testimonianze dei lettori de ilfattoquotidiano.it sui tirocini senza regole, spesso molto simili a veri rapporti di lavoro (il 90% dei casi secondo la Uil): dalle rassicurazioni su contratti imminenti mai arrivati, alla formazione in un negozio di abbigliamento. Fino alle sostituzioni di lavoratori licenziati. Comune denominatore: al termine del periodo stabilito si viene regolarmente rimpiazzati da un nuovo stagista
Il racconto si conclude sempre allo stesso modo: con un bagaglio di speranze che vengono disattese. Perché in un mercato del lavoro vessato da anni di crisi economica, con 3,5 milioni di precari, 2,8 milioni di sottoccupati e 670.000 posti di lavoro persi solo nel primo semestre di quest’anno, troppo spesso ciò che i disoccupati, gli inoccupati e i neolaureati riescono a trovare, ciò che le aziende offrono, è uno stage. Che solo in rari casi, meno del 10% su oltre 300.000 tirocini attivati ogni anno (306.580 nel 2012, secondo i dati di Unioncamere Toscana), però, si traduce in un contratto di lavoro. Uno stage per lavorare in un negozio di abbigliamento, di casalinghi, in una profumeria. Un tirocinio per cui si richiedono competenze specifiche ma che si rivela essere un lavoro a tutti gli effetti, un impiego come ‘tuttofare’ di solito, privo, per di più, di quell’aspetto “formativo e di orientamento” che secondo la normativa vigente dovrebbe essere il cardine di questa esperienza professionale. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto ai lettori di raccontare la propria esperienza legata agli ‘stage truffa’ e di seguito pubblicheremo alcune delle storie che ci sono state inviate. Sono storie di giovani laureati o con un curriculum ricco di esperienze lavorative, di disoccupati o di inoccupati ai quali, allo stesso modo, viene proposto un tirocinio “perché ogni realtà lavorativa è diversa”. E l’esperienza o la formazione precedentemente acquisita non contano più, almeno non per il datore di lavoro. Assumere un tirocinante costa poco, molto meno di quanto si spenderebbe per un dipendente a contratto, del resto, e sono i dati raccolti dai sindacati – secondo la Uil i tirocini ‘truffa’ sono circa il 90% – a dimostrare come questa modalità sia sempre più spesso utilizzata per sopperire alle lacune produttive, o di personale, delle piccole e medie realtà imprenditoriali, soprattutto. “L’Italia – scrive Marco, precario da sempre – è ormai una Repubblica affondata sul lavoro”.
Rosy, aspirante stagista presso un ente pubblico. Ho fatto un colloquio per uno stage in un ufficio pubblico di Roma. La descrizione del tirocinio non era molto chiara, cercavano persone formate in diverse aree disciplinari: comunicazione, scienze politiche, giurisprudenza, economia. Ingenuamente ho pensato che a ognuno fosse riservato un compito specifico. Neanche per sogno. Cercavano uno stagista da inserire nella segreteria del dirigente, un laureando o neolaureato che lavorasse per loro 20 ore a settimana. Per questo lavoro non era previsto nessun rimborso spese, neanche un buono pasto, neanche un biglietto dell’autobus. Niente. E non era previsto nemmeno l’inserimento. Quando ho fatto notare il mio disappunto, lo Stato, nei panni di una giovane donna, mi ha risposto: “Fa curriculum”.
Una lettrice anonima di Milano e il tirocinio ‘formativo’ in un negozio di abbigliamento. Quello che mi proponeva un negozio di abbigliamento in piazza del Duomo era uno stage di 3 mesi a 40 ore settimanali, rinnovabile per altri 3 mesi, con un rimborso spese di 517 euro al mese più i buoni pasto. E poi tutti a casa. Nessuna formazione, nessuna prospettiva di stabilizzazione, niente. Molti italiani, giovani o meno non ha importanza, hanno bisogno di lavorare, per favore non umiliateci proponendoci contratti del genere, poiché costretti dalle nostre condizioni.. potremmo anche accettare.
Giuseppe, diversamente abile congedato a fine stage perché “non idoneo”. Premetto che sono un “categoria protetta” (diversamente abile) e tramite il Centro per l’impiego di Torino mi propongono uno stage in un’azienda di abbigliamento da 40 ore a settimana per 3 mesi, con eventuale assunzione a tempo indeterminato a fine periodo. Avrei dovuto essere un assistente tecnico hardware a 500 euro mensili, ma in realtà il lavoro ‘formativo’ consisteva nel tenere in ordine il magazzino, aprire scatoloni, caricare e scaricare gli scaffali, eccetera. Capirete che fatica era per me che ho problemi di deambulazione. Poi, alla fine dei 3 mesi, grazie ed arrivederci: “ci dispiace”, mi hanno detto, “ma lei non è idoneo a svolgere questo lavoro”. E sotto un altro per i prossimi 3 mesi.
Federica, ex stagista addetta alla vendita di pesce congelato. Anche a me è capitato uno stage truffa: da luglio a dicembre 2012 sono stata presa per 6 mesi, a 500 euro mensili di rimborso spese (e dovevo portare il pranzo da casa), per 40 ore settimanali, presso un’azienda in provincia di Macerata, che gestisce negozi specializzati nella vendita di pesce surgelato. Dicevano che l’attività era in crescita, ma che chissà perché nonostante tale crescita si andava avanti con gli stagisti: lavorando lì ho saputo che ce n’erano stati altri prima di me, e io non sono stata l’ultima, alla fine del mio di stage avanti il prossimo. Non ho davvero parole!
Paola e il tirocinio che si trasforma in un doppio lavoro retribuito con un solo rimborso spese. Ho 28 anni, una laurea con il massimo dei voti e nessun lavoro. L’anno scorso sono stata assunta anch’io con uno stage truffa: un’azienda mi ha proposto un tirocinio della durata di 6 mesi, rimborsato con 600 euro mensili. Ero una tuttofare e lavoravo 45 ore la settimana. Ma non è tutto. Allo stesso tempo, e con il medesimo contratto e compenso, mi si richiedeva di lavorare anche presso l’attività del marito della titolare dell’azienda, che tanto le due imprese erano nello stesso edificio. Alla scadenza dello stage nessuna assunzione, ovviamente: sono stata congedata con tanti sorrisi perché un contratto come dipendente a tutti gli effetti era troppo oneroso per la società.
Daniela, tirocinante in un’agenzia interinale. Ho svolto il mio stage, della durata di 6 mesi, presso una nota agenzia interinale italiana. Inizialmente mi era stato detto che avrei dovuto lavorare 30 ore settimanali con una retribuzione di 250 euro mensili, più i buoni pasto, ma una volta partito lo stage le cose cambiarono. Il rimborso spese scese a 200 euro, e le ore divennero 40 a settimana. Non potevo permettermi di chiedere ore di permesso o giorni liberi che subito, appena rientrata in ufficio, si presentavano situazioni di mobbing nei miei confronti, e mi veniva fatto pesare qualsiasi piccolo errore. Parallelamente, per incoraggiarmi a fare del mio meglio mi promettevano che sarei stata assunta per il periodo estivo qualora mi fossi impegnata. Ma la verità era che volevano che rimanessi fino alla scadenza del tirocinio, che si è concluso non con un’assunzione, ma con l’ingresso di una nuova stagista, subentrata al mio posto. Ma perché si consentono certe cose? Non capiscono che così facendo ci tagliano le gambe?
Federica, stagista in una multinazionale per sostituire un lavoratore licenziato. Ho recentemente terminato uno stage di 6 mesi in una multinazionale americana leader nel suo settore. Davanti alla prospettiva di formarmi all’interno di un colosso ho accettato uno stage di 40 ore settimanali per ben 300 euro al mese, meno di 2 euro l’ora. Ho scoperto quasi subito, però, di essere stata inserita per sostituire una persona che, seppur a tempo indeterminato, era stata licenziata da un giorno all’altro per “ridurre i costi”. Ora cerco un altro lavoro, ma ad ogni colloquio che faccio indovinate cosa mi viene offerto? uno stage. Ma “non si preoccupi signorina, questo è davvero a scopo di inserimento”. Già.
Nessun rimborso spese, e il contratto promesso a fine stage mai visto. Sono un architetto di 32 anni e dopo aver lavorato per molti anni in un’impresa di costruzioni, chiusa a causa della crisi, mi sono ritrovata, purtroppo, ad accettare stage. La mia ultima esperienza è stata in un’amministrazione pubblica: non ho mai visto un centesimo, non era previsto alcun rimborso spese, solo la gloria, e sto ancora aspettando il contratto da collaboratore esterno che mi avevano promesso in fase di colloquio.
Andrea, da uno stage all’altro per guadagnare qualche euro in più. Anch’io ho avuto la mia dose di “stage truffa”, anzi, ne ho avute due. La prima in una grande azienda di abbigliamento: trovo on-line un annuncio di lavoro, mando il mio curriculum, vengo selezionato e vengo chiamato a colloquio presso la sede principale di Venezia – Mestre. Passo il colloquio, ma quando mi propongono un rimborso spese da 300 euro al mese per 6 giorni lavorativi da 8 ore rifiuto, non ci pagavo nemmeno l’affitto. Così, a malincuore, mi rimetto a cercare. La seconda occasione la debbo cogliere: 400 euro al mese. Già, quasi che lavorare fosse un lusso per il lavoratore stesso. La situazione è amara e per niente ben augurante, e anche se io cerco di essere ottimista, e per adesso continuo a sperare nel domani, vi assicuro che ne è rimasta poca, di speranza. Stage anche per lavorare all’outlet. In Sicilia, in un outlet che tratta marche piuttosto note, dalla profumeria Kiko all’abbigliamento Alcott o Adidas, lavora un gran numero di stagisti: l’orario è da full time, 40 ore la settimana, e il compenso è di 500 euro. Se si considera che l’outlet è collocato molto in periferia, buona parte di quel rimborso finisce in carburante. I ragazzi accettano solo perché viene promesso un contratto a fine tirocinio. Ma non succede mai, e dopo il primo rinnovo dello stage si viene lasciati a casa, avanti il prossimo!