Mentre i cittadini greci fanno fronte a circa 500 pignoramenti per debiti al giorno, con all’orizzonte nuovi scandali sull’acquisto di carri armati e sommergibili da Germania e Russia su cui sta indagando la magistratura ateniese, ecco che i dati sui benefici “giudiziari” della casta ellenica sono come un pugno nell’occhio per chi, tra tagli a stipendi e pensioni, fatica a restare a galla. In totale sono 130 le domande di autorizzazioni a procedere che sono state inoltrate dalla magistratura greca al Parlamento per reati di vario genere imputati a deputati, ministri ed ex parlamentari dal 2010 ad oggi: 41 sono decadute per prescrizione mentre il resto risultano bloccate in un cassetto, in attesa che scadano i termini. E nonostante il premier conservatore Antonis Samaras in persona aveva caldeggiato un’austerity anche da parte della classe dirigente, rallegrandosi quando un anno fa era deflagrata la “bomba” della Lista Lagarde, l’elenco degli illustri evasori ellenici con milioni di euro in Svizzera, al cui interno è presente anche il suo primo consigliere economico Stavros Papastravrou (che da allora non ha ritenuto di doversi dimettersi).
A salvare la casta ellenica non c’è solo la legge sul meccanismo ministeriale che agisce come strumento di impunità, penale e civile, ma la strada che può assicurare loro l’immunità e l’indennità passa proprio attraverso la Camera. Dove il regolamento attualmente in vigore non facilita l’accesso alle informazioni dei membri, così è complicatissimo indagare su presunti reati attribuiti ai politici. Anzi, proprio questo ritardo favorisce la scadenza dei termini. In conformità con la norma costituzionale e con la legge sulla responsabilità ministeriale, il diritto della Camera a portare in Aula la richiesta per qualsiasi procedimento penale è stato attivo fino al giugno 2011. Se fino ad allora, quindi, il governo in carica (era guidato dal socialista Iorgos Papandreou) assieme al Parlamento non ha fatto poi molto per mettere ai voti le singole richieste, ecco che da quel momento in poi è scattata la speciale prescrizione, con tempi che nel caso delle nuove richieste, potrebbero scadere nel 2014. E lasciare senza risposta altrettanti fascicoli. Lo scorso anno sono state ben 75 le richieste di autorizzazione a procedere avanzate dalla magistratura al Parlamento, ma al momento risultano “parcheggiate” in attesa di un cenno proprio dall’ufficio di Presidenza del Parlamento.
I magistrati inquirenti si augurano che non trascorrano i termini, visto e considerato che si tratta di inchieste delicate come truffe alla pubblica amministrazione, appropriazione di fondi europei, acquisti di armamenti, peculato e falso ideologico. Colpisce il fatto che gli ostacoli procedurali lascerebbero comunque intatta la possibilità per i 300 deputati di rendere le cose trasparenti, ma accade esattamente il contrario come il caso dell’ex rappresentante della Grecia presso il FMI, Roumeliotis, su cui le copie di documenti e relazioni, così come la legge prevede, non sono stati diffusi ai deputati. Nonostante ci fosse una prescrizione formale da parte dell’ufficio di presidenza della Camera. Così l’unico luogo fisico dove i deputati possono consultare un file per vedere se le accuse sono infondate o meno, è la sede della Divisione di progetto legislativo, che non è una zona sempre fruibile in quanto deve sottostare ad orari e giorni di apertura variabili.
Il problema è stato sollevato ufficialmente in questi giorni al Presidente della Camera dalla capogruppo del Syriza Zoì Konstantopoulou, che ha parlato pubblicamente di “disprezzo criminale per lo stato”, quando invece ci sarebbe l’obbligo “di tutelare l’interesse pubblico”. Per procedere contro un deputato non è sufficiente solo il sì del Parlamento, in quanto la formulazione dell’accusa può essere resa difficoltosa anche dall’impossibilità materiale di visionare le copie dei fascicoli con i capi di accusa. Un porto delle nebbie nell’Egeo, che ha la conseguenza di non approfondire indagini delicatissime e soprattutto di lasciare impuniti gli eventuali responsabili. Gli stessi che, sotto dettato della Troika, chiedono agli undici milioni di cittadini greci di guadagnare di meno e lavorare di più.