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Il 2013 e le previsioni non azzeccate

Sono andato a rileggermi le previsioni sul 2013 fatte alla fine del 2012, un anno fa: non solo le mie, che contano poco, ma anche quelle dei colleghi più prestigiosi e dei media più autorevoli. Ci facciamo più o meno tutti, noi giornalisti, la figura degli economisti, che non azzeccano (quasi) mai una previsione, ma sanno sempre spiegare alla perfezione, dopo, perché è successo quello che non avevano previsto.

Così, nessuno, ma proprio nessuno, aveva ipotizzato l’episodio che colloca il 2013 nella storia, almeno in quella dell’Occidente cristiano: le dimissioni di Papa Benedetto XVI – del resto, non accadeva più dal 1294, cioè quasi 710 anni fa, il ‘gran rifiuto’, ‘per viltade’ aggiunge impietoso Dante, di Celestino V: chi poteva immaginarsi una cosa del genere?

E, invece, se non tutti, molti, ma proprio molti, avevano abboccato alla storia del 2013 come l’anno dell’uscita dal tunnel. Il che, in realtà, è stato per molti Paesi, ma non per l’Italia, dove si stappano bottiglie di spumante per una crescita 0 nel terzo trimestre, a interrompere un filotto da record di trimestri di crescita negativa. Ma, naturalmente, e qui siamo al Venditore di Almanacchi, insuperabile in questo esercizio, l’anno che verrà sarà migliore, anzi il migliore. E “più che assai”.

Sul piano internazionale, il 2013 ha registrato le novità scontate dell’insediamento alla presidenza, negli Stati Uniti, di Barack Obama, succeduto a se stesso, ma sempre uguale a se stesso – meglio, cioè, come candidato che come presidente – e in Cina di Xi Jinping, che resta un oggetto un po’ misterioso.

L’Asia è stata (ed è) attraversata da venti di guerra più forti del solito – folate che in genere s’acquietano – tra le due Coree e, soprattutto, tra Cina e Giappone per una storia di scogli contesi.

In Afghanistan, a 12 anni dal rovesciamento dei talebani e a pochi mesi dall’uscita di scena programmata delle forze internazionali, e in Iraq, a dieci anni dall’invasione e già quattro anni dopo il ritiro delle truppe da combattimento Usa, il 2013 è stato l’anno più sanguinoso per i civili: segno, se mai ce ne fosse bisogno, del fallimento della lotta al terrorismo con le bombe e dell’esportazione delle democrazie sulle torrette dei carri-armati.

Tutto l’arco del Mediterraneo è in subbuglio – ma questa non è una novità: in Egitto, c’è un ritorno al passato, il presidente eletto Mohamed Morsi è stato deposto, i Fratelli Musulmani sono di nuovo fuori legge e l’uomo forte è il comandante in capo delle forse armate, il generale Sissi;  in Libia, l’eliminazione di Gheddafi e il conflitto con l’intervento dell’Occidente hanno lasciato caos e divisioni; in Siria, la guerra civile va avanti a suon di decine di migliaia di vittime, ma Assad resta presidente e dell’opposizione non si fida nessuno; in Turchia, il premier Erdogan sembra avere perso presa e credibilità sull’opinione pubblica.

A Sud del Sahara, la Francia scrive pagine di neo-colonialismo nella Repubblica centrafricana e prima nel Mali, con il consenso della comunità internazionale. In Iran, le elezioni portano alla presidenza Hassan Rohani e – scrive Roberto Aliboni, su Affari Internazionali – “il pugno di Teheran diventa una stretta di mano”, con una bozza d’accordo sul nucleare tra Teheran e i ‘5+1’. Soltanto sulla questione palestinese regna lo ‘status quo’: nessuno ci mette mano, neppure i diretti interessati.

In Europa, non c’è un leader che sia popolare in patria, a parte la cancelliera tedesca Angela Merkel, che vince al voto – ma è estremamente impopolare fuori dalla Germania. Ma l’Europa, si sa, vive un 2013 d’attesa, perché rimescolerà tutte le carte nel 2014, anno spartiacque – parola del presidente Napolitano – tra rigore e crescita.

L’uomo dell’anno? Time punta su Francesco, il Papa che viene dalla fine del Mondo, e ci azzecca. Insieme a lui, sul podio, mettiamo Rohani e Snowden, le cui rivelazioni impediscono ai governi ed alle opinioni pubbliche di fingere d’ignorare quel che tutti sanno (e fanno): che l’era della globalizzazione è pure quella dello spionaggio globale.

E fra i milioni di persone che “ci hanno lasciato”, ne ricordiamo una, ma è esercizio facile, quasi scontato: Nelson Mandela, uno di quelli che hanno saputo rendere il Mondo un posto migliore.