Esattamente dieci anni fa la bancarotta e la fine dell'impero dei Tanzi. La fine della gestione Bondi non ha chiuso l'epoca dei tribunali come dimostra la recente inchiesta. Mentre il fronte industriale registra chiusure, tagli e mancanza di chiarezza
L’acquisizione di Lactalis Usa in conflitto d’interessi e l’indagine della Procura. La sentenza del Tribunale di Parma che ha gettato ombre sull’operato degli amministratori e le quote perdute della Centrale del latte di Roma. E per finire un nuovo piano di contenimento dei costi che riguarderà il settore impiegatizio e alcune realtà produttive italiane. A dieci anni dal crac della Parmalat di Calisto Tanzi, dopo la fine dell’era del commissario Enrico Bondi e l’arrivo della famiglia francese Besnier più che dal prodotto attratta dal tesoretto miliardario accumulato con le revocatorie contro le banche dopo il crac, per la multinazionale del latte non è ancora tempo di tirare un sospiro di sollievo. Sono tante le incognite sul futuro del gruppo, che in questo momento deve fare i conti, oltre che con le vicende giudiziarie, anche con la crisi del comparto del latte e quella generale del mercato. Nell’ultimo consiglio di amministrazione della società è stata confermata la previsione di crescita del fatturato del 3 per cento, ma sono state più che dimezzate le stime sui margini di fine anno che registreranno una crescita del 2% sul 2012 contro il 5% precedentemente indicato ed escluso l’effetto dell’iperinflazione. Colpa, sostiene la società, dell’ulteriore calo della domanda in molti mercati e della difficoltà a riversare sui prezzi l’aumento del costo delle materie prime come il latte.
In previsione c’è anche un piano di contenimento dei costi che potrebbe comportare la perdita di posti di lavoro. A farne le spese sarà l’Italia, che dirà addio a storiche realtà di produzione dopo gli stabilimenti già chiusi a Genova, Villaguardia (Como) e Cilavegna (Pavia). L’ipotesi della proprietà è di procedere all’esternalizzazione dei marchi Latte Sole e Carnini, che interesserebbe le sedi di Catania, Pavia e Como. Nell’incontro del 18 dicembre con i sindacati il gruppo ha annunciato che procederà anche a una riorganizzazione della catena di comando: con la semplificazione di alcune procedure spariranno funzioni amministrative e dirigenziali che potrebbero toccare anche Collecchio. “Nell’ultimo anno la proprietà ha fatto un forte investimento a Parma con una nuova linea, cominceranno a produrre anche per marche private della grande distribuzione – ha detto al fattoquotidiano.it Mauro Macchiesi, segretario nazionale Flai Cgil – Ma abbiamo preoccupazioni sulla governance, gli staff, gli impiegati di sede, per i quali forse l’azienda sta pensando a qualche esubero, che noi contrasteremo con tutte le forze”.
Nel 2003 fu anche grazie all’impegno dei lavoratori che sindacati e istituzioni riuscirono a salvare l’impero del latte costruito e distrutto da Tanzi. Lo racconta il giornalista Marco Severo nel suo libro pubblicato per la Flai Cgil, Il miracolo del latte: allora furono gli operai a non fare nemmeno un giorno di sciopero, a cercare in accordo con i sindacati una via d’uscita per salvare azienda e posti di lavoro. Ora però le cose sono cambiate e Parmalat deve vedersela con una riorganizzazione di cui forse faranno le spese proprio i lavoratori. “Il futuro non è roseo – ha commentato Macchiesi – e sarebbe davvero un peccato vedere sfiorire oggi la Parmalat, dopo quel miracolo in cui i lavoratori sono stati protagonisti del salvataggio di un’industria italiana così importante”.
Nel mirino rimane la questione della scarsa chiarezza del piano industriale presentato dai francesi, che ha già portato alla chiusura di tre stabilimenti. Parma, finora al centro dell’ingarbugliata questione giudiziaria, era stata risparmiata, ma la prossima riorganizzazione toccherà anche Collecchio. Il problema è che in Parmalat il rapporto tra strutture centrali e di produzione è squilibrato. Più del 60 per cento del personale è costituito da impiegati, commerciali, marketing, dirigenti e quadri. Una percentuale alta, a confronto del rimanente 40 per cento che lavora nella produzione e da cui quindi dipende il prodotto finale da destinare al mercato.
Di certo un settore così consistente sarebbe servito se fossero stati mantenuti i propositi presentati due anni fa da Lactalis al momento dell’Opa su Parmalat. Il gruppo francese aveva annunciato la volontà di fare di Parma la sede del cervello della produzione e distribuzione del latte fresco in Europa, ma l’impegno non è mai stato portato a termine: “I francesi non hanno mai mantenuto quella promessa – lamenta Macchiesi – Un anno fa abbiamo condiviso un piano industriale che prevedeva la produzione per le marche private, ma anche il rilancio dei marchi di Parmalat e del valore del brand del gruppo, su cui sono ancora in ritardo”.
L’Italia è per ora rimasta ai margini della politica industriale del gruppo francese e le perplessità del sindacato riguardano anche le linee guida per rilanciare l’attività produttiva. “C’è mancanza di chiarezza sulle strategie future – aggiunge il segretario Flai Cgil – e il calo dei consumi sul latte non aiuta, così come i pochi investimenti sugli impianti”. Con l’arrivo dei francesi Parmalat si è salvata, ma in un certo senso l’Italia ha perso un’importante partita che potrebbe avere ripercussioni anche sul sistema industriale italiano. “Parmalat rappresenta l’esperienza positiva di una grande azienda, che oggi però vive una fase difficile perché non è più italiana – ha spiegato Macchiesi – Forse Bondi tra le cose positive che ha fatto non ha molto curato l’aspetto del profilo industriale del gruppo e per il sistema Italia quella cessione ai francesi è ancora una ferita molto dolorosa”.
Anche le inchieste penali e il procedimento civile ex articolo 2409 sulla contestata acquisizione di Lactalis Usa hanno il loro peso in questo aspetto. Di certo non giova il lavoro degli inquirenti che vede tra gli indagati i vertici del gruppo, a partire dal presidente Francesco Tatò, e che di fatto immobilizza la società, anche se per ora il Tribunale civile l’ha risparmiata dal commissariamento, revocando solo il consigliere Marco Reboa che per altro è rimasto al suo posto in un inedito braccio di ferro azienda/Tribunale. C’è poi il problema della perdita della Centrale del latte di Roma, che per i giudici dovrebbe tornare al Comune. “È una situazione assurda: a Parma c’è un’inchiesta penale, a Roma ci sono sentenze che dicono che Parmalat non è più proprietaria della Centrale, che dovrebbe tornare al Comune – aggiunge il segretario – E’ difficile fare politica industriale in una situazione di questo tipo. Chiediamo come sindacato che il gruppo possa operare in continuità. In una condizione di mercato complicata come quella attuale, non può esserci assenza o sospensione di direzione”.