Il Santo Stefano di ieri ci ha consegnato un’altra perla – se vogliamo definirla così – di ciò che non va fatto con i social network e nel lavoro in rete, soprattutto nella gestione della cosa pubblica. L’episodio potrebbe anche passare sottotraccia, se non fosse che a commettere l’errore – tutt’altro che risibile – è un ente come la Questura di Roma, una struttura protesa alla gestione quotidiana di questioni assai complesse. Nel tweet incriminato viene paragonata la sistemazione del ripostiglio allo sgombero di un campo Rom. E dopo aver cancellato il tweet la stessa Questura cerca di metterci una pezza che è anche peggio dell’errore stesso (di per sé gravissimo).
Andiamo con ordine raccontando i fatti, ben descritti da Alberto Puliafito che ricostruisce l’accaduto su PolisBlog. Ieri l’account della Questura alle ore 18.20 ha pubblicato questo messaggio: “Ho risistemato lo sgabuzzino.. m’è sembrato lo sgombero in un campo nomadi… meno male che sono preparata!!!!!”. Tweet che parla da solo, con un contenuto discutibile e razzista. Evidentemente – ma è una ricostruzione personale – un tweet partito nella gestione multi-account del profilo personale e di quello dell’ente. Ma, ripeto, è solo un’ipotesi personale e come si legge su un comunicato appena diffuso sono in corso accertamenti.
Comunque dopo alcune ore il messaggio sparisce perché rimosso e ne viene inserito un altro: “In merito al tweet delle ore 18.20, non postato dalla redazione FB e TW, sono in corso le dovute verifiche e seguiranno provvedimenti”. Ecco, ora in attesa dei provvedimenti che speriamo non tarderanno ad arrivare, ci si aspetta che arrivino anche le scuse (e queste sì tardano). Le scuse però spesso non bastano per chi gestisce strumenti di comunicazione per i cittadini.
In questi ultimi due anni abbiamo assistito ad un proliferare di aperture di account sui social network di enti pubblici, realtà legate alla Pubblica Amministrazione locale e nazionale. Sono operazioni che implicano un rapporto tutto da riscrivere tra cittadini ed istituzioni, molto più diretto e, quando costruite con metodo, efficace e di impatto. L’uso dei social network nell’ente pubblico può teoricamente (e spesso lo fa, per carità) restituire quel ruolo smarrito di vicinanza dei cittadini alle istituzioni sia per celerità delle informazioni e sia per feedback alle richieste ed esigenze. Però questo innesto con i nuovi media di fatto ha modificato anche la gestione del lavoro di uffici stampa e addetti alla comunicazione, ha scardinato gli assetti del passato forse troppo paludosi, cercando di consegnarci una comunicazione molto più diretta, meno filtrata, più immediata. Quando questa operazione di innesto non si esplicita nel campo della mera propaganda o pubblicità dell’ente, il tweet o il post diventano un servizio di pubblica utilità. Ma attenzione: l’errore si amplifica, e chi sbaglia deve scusarsi e pagare.
Neanche troppi giorni fa un errore simile è stato commesso da una manager americana, Justine Sacco, impiegata della InterActive Corp. La notizia ha fatto il giro del mondo, e qui vi segnalo i commenti dal New York Times e dal Guardian: Justine Sacco ha cinguettato dal suo account personale, ma il messaggio aveva una tale coloritura razzista che l’azienda ha deciso di licenziarla in tronco. Peraltro – ed è stato questo l’aspetto più particolare della vicenda – è stata licenziata durante il suo viaggio all’estero, mentre era in volo e in rete si scatenava il putiferio per il suo sprovveduto tweet. Lei non sapeva ciò che stava avvenendo mentre sorvolava il mondo, ma quello stesso mondo aveva deciso di non sorvolare sulle sue sprovvedute parole. Accadrà così anche nel caso della Questura di Roma?