La corte suprema di Pechino si è espressa anche a favore della chiusura dei campi di lavoro e rieducazione. Ma le organizzazioni umanitarie mettono in guardia: "Timore che possano rimanere con altro nome". Le due decisioni storiche sono state prese a novembre e ora vengono formalizzate
Due piccole rivoluzioni in Cina. La corte suprema di Pechino si è espressa a favore di un allentamento sul controllo delle nascite: il Comitato del partito consentirà alle coppie con un figlio di averne due. L’altra decisione riguarda l’abolizione dei campi di rieducazione e lavoro. Le due iniziative, prese in novembre, sono state formalizzate dopo l’approvazione del comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, il massimo organo legislativo della repubblica popolare cinese. A riferirlo la Nuova Cina News.
L’allentamento del controllo sulle nascite da parte dello Stato è un cambio di rotta significativo sulla politica di pianificazione familiare, in vigore da 30 anni per frenare la crescita della popolazione nel paese più popoloso del mondo. Attualmente, la legge cinese vieta alle coppie che vivono nelle aree urbane di avere più di un bambino (a meno che entrambi i genitori siano a loro volta figli unici). Tuttavia esistevano già delle eccezioni che consentivano di avere più di un figlio alle famiglie appartenenti a minoranze etniche o alle coppie “rurali” nelle quali il primo figlio è una bambina. La “politica del figlio unico” fu introdotta in Cina pochi anni dalla morte di Mao Tse-tung, dal suo successore Deng Xiao Ping nel 1979 e fu attuata vietando alle donne di avere più di un figlio.
L’altra novità è la chiusura del sistema di rieducazione attraverso la detenzione nei campi di lavoro, noto come “laojiao”. Una pratica repressiva introdotta nel 1957 che consentiva di recludere persone dopo la sola decisione della polizia, fino a quattro anni. Il sistema di detenzione è stato più volte denunciato dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, e nella storia del paese è stato utilizzato principalmente dalle autorità locali soprattutto contro la corruzione. Una pena – spiega il governo – non più necessaria grazie allo sviluppo del sistema giudiziario cinese. Ma la decisione non convince del tutto le organizzazioni umanitarie. Che mettono in guardia sulla possibilità che i campi di lavoro possano comunque persistere, cambiando solamente il nome.