Alla cerimonia inaugurale dei Giochi invernali di Sochi 2014 manca ormai poco più di un mese. Alla festa, però, sono annunciate assenze eccellenti: Obama, Hollande, e tante altre autorità del mondo occidentale il 7 febbraio non saranno allo stadio olimpico Fišt, in segno di protesta contro la violazione dei diritti degli omosessuali in corso in Russia. Non è l’unica incognita delle tre settimane olimpiche. Nelle intenzioni del presidente Vladimir Putin, i Giochi dovrebbero essere la vetrina della nuova grandeur russa. Ma l’attentato di Volgograd fa suonare un campanello d’allarme sul fronte della sicurezza interna (anche se le autorità promettono un sistema di controllo imponente con 40mila agenti di polizia, 5mila telecamere, droni). E non è l’unica ombra sugli imminenti giochi, di cui si parla, per ora, per il disastro ambientale, i costi spropositati, i dubbi sul centro antidoping.
RISCHIO BOICOTTAGGIO – Dopo gli annunci delle ultime settimane, non è un’esagerazione parlare di rischio boicottaggio da parte del mondo occidentale. Il primo a ufficializzare la propria assenza è stato il presidente della Germania, Joachim Gauck. Una decisione seguita a stretto giro di posta dalla Francia: il presidente François Hollande non ci sarà, come nessun’altra autorità transalpina. “Non abbiamo in progetto di partecipare alla cerimonia”, ha spiegato in maniera lapidaria il ministro degli Esteri, Laurent Fabius. Ben più esplicita è stata invece la vicepresidente della Commissione europea, Vivane Reding: “Non ho alcuna intenzione di andare a Sochi fino a quando il governo tratterà le minoranze in questa maniera”, ha scritto su Twitter ad inizio dicembre. Il riferimento, in particolare, è alla legge approvata ad inizio 2013 contro la “propaganda omosessuale”, già al centro di polemiche nel corso degli ultimi mondiali di atletica di Mosca. Se la presa di posizione dell’Europa è ferma, gli Stati Uniti hanno scelto la strada dell’ironia. Barack Obama manderà in Russia due icone del mondo gay: Billie Jean King, grande tennista a cavallo degli Anni Sessanta e Settanta, una dei primi atleti a dichiarare la propria omosessualità; e Caitlin Cahow, giocatrice della nazionale statunitense di hockey su ghiaccio (con cui ha vinto due medaglie olimpiche a Torino 2006 e Vancouver 2010) e paladina dei diritti lgbt. In controtendenza rispetto all’Europa e all’America resta (quasi) sola l’Italia: nelle scorse settimane, l’ambasciatore italiano a Mosca ha confermato la presenza del premier Enrico Letta. Ma difficilmente basterà a consolare Putin.
DOPING, MOSCA SOTTO ACCUSA – Anche su questo fronte Sochi 2014 potrebbe riservare brutte sorprese. A fine novembre il centro di Mosca – quello che dovrà condurre gli oltre duemila test, prima e durante la manifestazione – è stato sospeso (con condizionale) per “assenze di garanzie sulle analisi”. Pochi giorni fa il centro ha ottemperato alle indicazioni della Wada, nominando una commissione di otto esperti esterni (capeggiata da Andy Parkinson, numero uno dell’antidoping britannica). La loro presenza rimette in regola il centro di Mosca. Ma certo l’allarme di novembre non sono il miglior viatico in vista di una manifestazione sportiva così importante.
DISASTRO AMBIENTALE – Le preoccupazioni maggiori, però, riguardano la situazione ambientale della regione. Il Caucaso occidentale è patrimonio dell’Unesco, ma i lavori per l’organizzazione della manifestazione non ne hanno tenuto conto. Per la costruzione dello stadio Fišt è stata sacrificata una parte del Parco nazionale di Sochi. Stesso discorso per l’impianto sciistico nel paesino di Krasnaja Poljana. Il tutto, ovviamente, con procedure semplificate, in deroga alle leggi ordinarie per l’organizzazione della manifestazione. Vladimir Kimaev, ecologo attivista che fa parte della Guardia ecologica per il Caucaso del Nord, ha definito Sochi 2014 “una bomba a scoppio ritardato per l’ambiente”. In realtà, le prime conseguenze si sono già manifestate. A settembre la città è finita completamente allagata da una piena del fiume locale, il Mzmyta. Colpa non delle piogge (in linea con le medie annuali), ma della speculazione edilizia. In particolare, della fondamentale arteria di trasporto, la Adler-Krasnaja Poljana, che collegherà le due location dei Giochi, quella sul mare e quella sulle montagne. La strada, però, è stata costruita troppo vicina al letto del Mzmyta. E, soprattutto, durante i lavori tanti detriti sono stati scaricati in acqua, alterando gli equilibri del fiume, che d’ora in avanti sarà sempre più a rischio esondazione. Una delle tante eredità che i giochi lasceranno alla popolazione locale, oltre ai (presunti) ritorni economici e d’immagine. E pensare che tutto questo è costato l’astronomica cifra di 50 miliardi di euro. Cinque volte di più di quanto prospettato in origine al momento dell’assegnazione, venticinque rispetto al costo dei precedenti giochi invernali di Vancouver. Putin vuol far bella figura con il mondo, a qualunque costo. E non importa che il prezzo da pagare siano rubli, i diritti umani o la tutela dell’ambiente.