Del senso metaforico già si è, in effetti, ampiamente detto (vedi questo bel post di Emanuele Ferragina), ma riassumiamo. Il settimanale “The Economist” – forse la più prestigiosa e, di certo, la più “globale” delle pubblicazioni “serie” – ha giorni fa nominato “paese dell’anno” proprio la piccola nazione che Mujica da oltre tre anni governa. E è proprio cantando le virtù di “el Pepe” che la rivista britannica ha, infine, motivato la sua scelta, subito accolta in ogni angolo del pianeta (vedi l’ampio articolo che, su “El País di Madrid, il premio Nobel Mario Vargas Llosa ha dedicato all’evento) con scroscianti applausi e con quasi unanimi cori d’assenso.
Primi (anche se non unici) meriti di Mujica: uno stile di vita che – per la sua agreste sobrietà – è probabilmente unico tra i leader politici d’un globo terracqueo quasi ovunque disgustato dai vizi dei propri governanti; e – ad un livello più propriamente legislativo – l’approvazione del matrimonio gay e, soprattutto, il lancio della prima legge che, in ambito statal-nazionale, sperimenta forme di legalizzazione, non solo del consumo (già da tempo de-criminalizzato in Uruguay), ma della produzione e distribuzione della marijuana. Un gesto, questo, che, secondo “The Economist” (e secondo Vargas Llosa), ha finalmente rotto – dando prova di coraggio, anzi, mettendo arditamente alla prova il “coraggio della libertà” – i putridi paradigmi d’una pluriennale e fallimentare “guerra alla droga…”.
E tuttavia non è solo come allegorico oggetto d’incondizionata ammirazione che i piedi di José “el Pepe” Mujica Cordano sono, in questa fine d’anno, ascesi ai proverbiali onori della cronaca. Le estremità presidenziali sono infatti proprio ieri apparse, in tutta loro inequivocabilmente fisica nudità, nel corso della conferenza stampa con la quale il governo del Paese ha solennemente annunciato la nomina a nuovo ministro d’Enonomia e Finanza dell’ex direttore del Banco Central, Mario Bergara. Un’occasione indubbiamente protocollare e sicuramente triste, visto che l’ascesa di Bergara era la conseguenza della caduta di Fernando Lorenzo, a sua volta dovuta ad un molto classico scandalo che, pur senza inficiare il mito della francescana onestà di Mujica, ha irrimediabilmente macchiato quello della efficienza della gestione economica del suo governo.
Lo scandalo è quello che, con sequenze oscure e talora oscuramente surreali, ha negli ultimi due anni visto la disintegrazione – a beneficio dell’argentina BuqueBus – di Pluna. Ovvero, di quella che fu a suo tempo la solida, anche se deficitaria, compagnia aerea di bandiera uruguayana.
Per la gioia di cameramen e fotografi, “Pepe” s’è presentato alla cerimonia, non solo – come d’abitudine ed in abituale contrasto con l’agghindata presenza del vicepresidente Danilo Astori (a sinistra nella foto) e dello stesso Bergara – senza giacca e cravatta, ma anche senza scarpe. O meglio: con ai piedi calzature aperte che qualcuno ha definito “sandali” ed altri, più brutalmente, “ciabatte” (“chancletas”). Gli uni e le altre, in ogni caso, messi in molto ostentata evidenza, sotto il tavolone della conferenza, da pantaloni risvoltati ben oltre le caviglie, fin quasi e scoprire per intero i floridi polpacci presidenziali.
Morale di questa “storia parallela”? Nessuna. O forse, allargandoci un po’, una soltanto. L’America Latina è sempre stata, per la sinistra europea, una romantica fabbrica di miti. E, tra questi, quello di “Pepe presidente povero”, vivente simbolo della possibilità d’uno “sviluppo sostenibile” è, non solo di gran lunga il più recente, simpatico e, per molti aspetti, autentico, ma anche, nella sua rude semplicità, il più simpaticamente in contrasto con i più o meno grotteschi culti della personalità che la regione continua a regalarci.
E tuttavia è, quello del Pepe, pur sempre un mito. Perché la realtà ci dice che Mujica, popolarissimo a livello planetario e presidente del “paese dell’anno”, è oggi in quel medesimo paese (e non solo per la bruttissima storia dello scandalo Pluna) molto meno popolare di quanto fu. E perché – a dispetto della fama di cui gode fuori dai confini patri – Pepe non solo non è affatto un campione della difesa dell’ambiente, bensì – come testimoniano le sue ardenti passioni per tutto ciò che sia preceduto dall’aggettivo “transgenico”, i suoi prospettati piani di lottizzazione di aree superprotette (Cabo Polonio) ed i suoi (già attivi, in quel di Aratiri) piani di “megamineria” – è, al contrario,un uomo di radicata cultura antiambientalista.
In sostanza: el Pepe è davvero povero. E, come molti poveri, è convinto che l’ambientalismo altro non sia, a conti fatti, che un lusso per ricchi. Per questo poveri e talora decisamente negativi sono anche – visti da dentro l’Uruguay ed oltre il più che legittimo fascino suscitato nel mondo dal suo monacale stile di vita – i risultati ambientali dei suoi tre anni di governo. E persino il gioiello della corona – quella legge “libertaria” di legalizzazione della marijuana che gli è valso il titolo di presidente dell’anno – viene da molti, a destra e a sinistra, considerato un molto improvvisato asfittico esperimento “statalista” destinato al fallimento.
Mujica è, insomma, davvero, nella sua vera povertà, un grande, straordinario personaggio. Ma, visto in ciabatte è anche, come il re della celeberrima fiaba di Andersen, spietatamente nudo. Come i suoi molti consunti piedi ritratti sotto il tavolo della conferenza stampa. Come tutti noi, in fondo. Ed a me piace proprio per questo. Tanti auguri di buon anno, dunque, a lui, a noi, e a tutti coloro che sono – metaforicamente o fisicamente – ai suoi piedi. Y que viva el Pepe…