Quest’anno, per favore, niente auguri. Auspici, speranze, sogni ne abbiamo coltivati per tutto l’anno. Ce ne sono stati somministrati quotidianamente di ogni genere, sottoforma di promesse e frasi del tipo “la crisi è finita“, “la ripresa è alle porte”, “ci sono segnali che con il 2014 saremo fuori dal tunnel“. Non ci crediamo e per il momento non si sono avverate; in ogni caso abbiamo ricevuto già la nostra dose massima tollerabile, non c’è più posto. Come se avessimo mangiato panettone per tutto l’anno, ora non se ne può più: basta auguri di fine d’anno.

Questo non vuol dire che ci sia proibito coltivare la speranza che le cose vadano meglio in futuro. Ma in silenzio, senza fanfare; e a una condizione molto semplice, ma difficilissima. Che cambi tutto. Guardiamoci attorno, questo paese è da rifondare e non è un gioco di parole.

Il problema più grave è certamente quello della disoccupazione giovanile, che in certe zone è arrivato a numeri da paura, intollerabili per un Paese che vorrebbe essere considerato tra i più sviluppati del mondo. Ma potremo parlare della perdita di competitività delle imprese italiane, o della fuga delle multinazionali dal nostro paese. Questi problemi, però, come altri, sono la conseguenza di una malattia più profonda che affligge l’Italia e non da pochi anni. L’Italia che non vuole avere figli, l’Italia imprenditoriale che non rischia e preferisce affari di breve cabotaggio. L’Italia dei giovani che aspettano qualcuno che gli offra un posto senza pensare a crearselo a cercarlo. L’Italia della mancanza di fiducia, della rassegnazione, dell’attesa che il futuro dipenda dalle circostanze e dagli altri. L’Italia dell’incapacità di pensare al rischio come a una prova da superare e vincere e alle difficoltà come a un fatto naturale, che non ci spaventi e non ci limiti.

Ripeterò fino alla noia che la ripresa dell’Italia è un fatto di coscienze individuali, non di istituzioni marce (che pure esistono). Di poca voglia di combattere, di rischiare, di assumersi in prima persona ognuno per sé le proprie responsabilità. Il lavoro, la politica, la società non sono solo il mondo che subiamo, ma sono soprattutto quello che ogni giorno cerchiamo di crearci. Non c’è nessun sistema, nessun comportamento diffuso, nessun potere e nessuna oligarchia che non possa essere spazzata via in quattro e quattr’otto dalla forza e dalla volontà massiccia di una moltitudine di persone che agiscono per costruire un mondo diverso.

Dobbiamo uscire dai soliti rituali, dalle solite paure, dalla solita sfiducia prima di tutto verso noi stessi che verso gli altri. Allora le cose cambieranno, senza bisogno che ci sia l’arrivo messianico della ripresa economica mondiale. Certo non è facile, ma questa è la strada maestra. Quindi, scusate, ma niente auguri, niente “volemose bene” per il 2014. Pochi brindisi e tanta voglia di fare e di cambiare incominciando da noi stessi. Così ce la faremo, We shall overcome, versione rock, alla Springsteen.

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