Leggo, fra i commenti al mio articolo sulla “riforma” della custodia cautelare, le solite scemenze dei soliti disinformati. Alcuni blaterano di un mio processo finito in prescrizione: si tratta di quello nato da una querela di Cesare Previti, concluso in primo grado con una pesante pena detentiva, in appello con la riduzione della sanzione a una piccola multa di 1000 euro e in Cassazione con il rigetto del mio ricorso e con la conferma della sentenza d’appello, nonostante fossero da tempo decorsi i termini della prescrizione. Premesso che – non essendo io un pubblico ufficiale, ma un giornalista, ed essendo imputato non di corruzione, o falso in bilancio, o mafia, od omicidio, ma per un articolo di giornale – non avrei avuto alcun motivo per rifiutare la prescrizione, è dunque falso che io abbia beneficiato della prescrizione. Quindi chi continua a diffondere questa balla è pregato di inventarsene un’altra.
Altri mi accusano di aver condotto una campagna per salvare Alessandro Sallusti dal carcere (e dunque di non avere titolo per commentare la controriforma della custodia cautelare in cantiere). E’ falso anche questo. Ho sostenuto ciò che dico da sempre: e cioè che i giornalisti, per i loro articoli diffamatorii, devono essere condannati a pene detentive quando sbagliano dolosamente, cioè diffamano sapendo di diffamare; se invece sbagliano in buona fede, devono subito rettificare l’errore e scusarsi per ridurre il danno arrecato alle vittime. E in questo caso la pena non dev’essere detentiva. Se invece insistono, è giusto che vengano condannati al carcere e vi scontino la pena. Naturalmente, anziché scusarsi e riparare, sia pur tardivamente, al danno arrecato al giudice diffamato, Sallusti rincarò la dose, dunque fu giustamente condannato anche in Cassazione a una pena detentiva che gli fu risparmiato di scontare in carcere solo grazie alla nuova linea adottata ad hoc dalla procura di Milano, che lo lasciò agli arresti domiciliari; questi poi evaporarono in seguito alla grazia gentilmente offerta dall’apposito Napolitano. Nel frattempo tornai a occuparmi della vicenda diverse volte, anche correggendo un’inesattezza contenuta nel primo articolo (Sallusti era stato condannato anche per responsabilità diretta nella diffamazione, e non solo in quanto direttore di Libero per l’”omesso controllo” su un articolo altrui firmato “Dreyfus” e scritto – si scoprì poi – da Renato Farina).
Chi volesse documentarsi sul tema, può cercare online i miei articoli sul Fatto intitolati “Salvate il soldato Sallusti” (il primo della serie) e “Gli infarinati” e quello uscito sull’Espresso, nella rubrica Carta Canta, dal titolo “E’ Sallusti che perseguita Sallusti”. Così gli amici di questo blog potranno valutare l’attendibilità e la credibilità di certi commentatori che lo infestano con le loro baggianate.