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Gli sprechi e i conflitti d’interesse dell’Atac nelle pieghe del Milleproroghe

L'emendamento Aracri rischia di costare molto di più degli affitti d’oro e forse non è un caso che passi nel silenzio generalizzato

Il Milleproroghe, il decreto del governo che serve a correggere il tiro dei decreti precedenti e che si è trasformato negli ultimi anni in una distribuzione di finanziamenti a pioggia è stato approvato dall’esecutivo Letta venerdì 27 dicembre dopo che, poco prima di Natale, il Presidente della Repubblica aveva stoppato in extremis il Salva Roma all’interno del quale era contenuto l’ormai famoso emendamento sugli affitti d’oro. La protesta per questo spreco si è levata forte in Parlamento, mentre sottovoce passava un emendamento del senatore Aracri, in quota Forza Italia, che ha avuto la benedizione silenziosa di una maggioranza trasversale, dalla politica alla società civile, passando per il sindacato. Questo emendamento di fatto permette di perpetrare la gestione fallimentare di Atac, l’azienda di trasporto pubblico romano. Il Partito Democratico non ha mosso un dito per toglierlo, così come la Cgil, che addirittura si è mostrata accomodante. E, va ricordato, anche il Movimento Cinque Stelle in passato ha difeso la categoria degli autisti.

Ancora non è possibile conoscere la versione integrale del Milleproroghe. Vi è solo un comunicato stampa dal quale si comprende che nel provvedimento viene abbonato parte del debito Atac e che la gestione del servizio di trasporto nella città di Roma continua ad essere assegnata alla società senza nessuna gara. Dell’”emendamento Aracri”, che salva gli sprechi di Atac, lasciando la gestione dell’azienda a coloro che l’hanno portata sull’orlo del fallimento, non si sa ancora nulla di certo. E questo nonostante si tratti di una norma che ha un costo molto superiore a quello degli affitti d’oro, vale a dire oltre cinquecento milioni di euro l’anno.

Atac, è l’azienda pubblica che conta circa 12mila dipendenti (la metà di tutti quelli che lavorano nel complesso dei 28 Stati dell’Unione Europea per la Commissione Ue), circa 80 dei quali dirigenti. Un numero elevato di colletti bianchi e ancor più alto di dipendenti pubblici. Tanto più che gli scandali degli ultimi anni hanno messo il dito nella piaga dei metodi di assunzione per tutti i livelli aziendali, non solo dirigenziali.

I costi di produzione di Atac sono di circa 1,2 miliardi di euro l’anno e le perdite lorde accumulate negli ultimi quattro anni sono state superiori a 700 milioni di euro. Al contempo i contribuenti hanno sborsato quasi 3 miliardi in sussidi per il servizio che sono enormi, al contrario delle entrate da biglietti e da abbonamenti. Questi ultimi ricavi equivalgono solo al 45 per cento di tutti i costi per il personale. Ai quali deve essere poi aggiunto il restante 55 per cento dei costi per il personale, per il carburante e tutti gli altri costi aziendali.

Si capisce bene che nonostante gli enormi sussidi pubblici, l’azienda abbia un “buco nero” molto profondo: i costi operativi di Atac sono superiori a 6 euro per vettura chilometro, quasi tre volte di quelli inglesi e doppi a quelli svedesi. Qui non si parla dei prezzi dei biglietti (entrate), ma si sta parlando di costi per effettuare un chilometro di servizio.

Se l’efficienza del servizio fosse al pari di quella svedese, i costi potrebbero scendere di quasi 600 milioni di euro, tanto che i romani potrebbero viaggiare gratis. Con i sussidi pubblici si coprono quasi tutti questi sprechi, ma gli aiuti derivano dalle tasse che i cittadini si trovano a pagare (dall’addizionale Irpef, passando per la TASI e la IUC). Come fare a ridurre questi costi? Una possibilità è affidare il servizi tramite delle gare serie, dove vince colui che offre le condizioni migliori.

Ad oggi, invece, il servizio è assegnato ad Atac dal suo stesso azionista di controllo, il Comune di Roma. Non esiste una barriera per la gestione del conflitto d’interesse e anzi i metodi di assunzione dimostrano come sia interesse diretto della politica e dei sindacati che il controllo rimanga al Comune e ai sindacati stessi. Il costo del personale è eccessivo, nonostante gli stipendi di Atac siano più bassi di quelli svedesi o della Gran Bretagna. Come è possibile? Semplice, l’azienda ha assunto troppe persone che non servivano aumentando la spesa corrente invece di comprare autobus moderni.

La soluzione adottata dal Salva Roma suona quindi come una beffa: si dà ai sindacati la golden share per eventuali licenziamenti che dovrebbero essere fatti nella pletorica azienda. E così coloro che hanno diretta responsabilità degli sprechi, dovrebbero scegliere di licenziare il personale in eccesso. Un po’ improbabile. Certo dovrebbe essere effettuato anche un taglio dei dirigenti, ma non è pensabile di risolvere un problema da 600 milioni di euro con il taglio di 80 stipendi. Il “salva Atac” rischia così di costare molto di più degli affitti d’oro e forse non è un caso che passi nel silenzio generalizzato.

@AndreaGiuricin