Senza la sperimentazione animale non si sarebbe mai potuta sviluppare la teoria dei germi, sconfiggere la poliomielite, scoprire la penicillina o l'insulina. Non ci sarebbero stati progressi nella terapia anti Aids. Grazie agli esperimenti sui topi i ricercatori Telethon hanno curato bambini affetti da una cecità ereditaria
Senza la sperimentazione animale non si sarebbe mai potuto sviluppare la teoria dei germi di Pasteur, né sconfiggere la poliomielite oppure scoprire la penicillina o l’insulina. Senza i test sugli animali non sarebbero state messe a punto le tecniche per i trapianti di organi e tessuti, né esisterebbero i progressi nella terapia anti Aids. Ed è grazie alla ricerca biomedica se gli scienziati di Telethon hanno trovato una cura per bambini affetti da una cecità ereditaria. Nonostante questi successi – ma la lista potrebbe essere molto più lunga – chi difende la ricerca viene insultato.
Ma Caterina Simonsen, studentessa 25enne di Veterinaria all’Università di Bologna colpita da quattro differenti malattie genetiche rare, ha reagito: “Nazi-animalisti” e ha denunciato alla polizia postale coloro che su Facebook le hanno augurato la morte per il suo appello in difesa della sperimentazione animale. Un appello che ha riacceso le polemiche in vista della discussione a metà gennaio in Parlamento, che dovrà fornire il proprio parere sul decreto delegato del Governo relativo al recepimento della direttiva europea che “disciplina l’uso di animali a fini sperimentali”.
Gli scienziati Fernando Aiuti e Andrea Ballabio con Caterina. “Caterina è stata usata come una cavia da chi sa fare solo l’obsoleta, inutile e dannosa sperimentazione sugli animali”, si legge in un comunicato della Lav (Lega antivivisezione). “Questa vicenda per Italia è veramente squalificante e i miei colleghi stranieri non riescono a capire come si possa montare un simile caso – commenta Fernando Aiuti, professore Emerito di Immunologia Clinica e Malattie Infettive all’Università La Sapienza di Roma -. Quello di Caterina è un esempio straordinario di presa di coscienza dell’importanza della ricerca”.
Mondo della ricerca biomedica italiana che sembra proprio non conoscere tregua in questi giorni di fine anno, caratterizzati da roventi polemiche. Prima intorno al cosiddetto metodo Stamina, adesso per gli oltre 30 auguri di morte e 500 offese piovute addosso a Caterina, rea di aver postato sul suo profilo Facebook una foto che la ritrae attaccata al proprio respiratore mentre mostra un cartello di ringraziamento agli scienziati di Telethon con la scritta: “Io, Caterina S., ho 25 anni grazie alla vera ricerca, che include la sperimentazione animale. Senza la ricerca sarei morta a 9 anni. Mi avete regalato un futuro”.
“Non conoscevo Caterina prima di sentirne parlare dai media – dichiara Andrea Ballabio, direttore dell’Istituto Telethon di genetica e medicina di Napoli (Tigem) -, anche se recentemente nel mio istituto ci siamo occupati di una delle patologie di cui è affetta, il deficit di alfa1-antitripsina, sperimentando un nuovo tipo di terapia in un modello murino (di topo) della malattia. Sono rimasto molto colpito dalla lucidità e dall’apertura mentale di questa ragazza che, pur trovandosi in una situazione molto difficile a causa delle malattie di cui è affetta, ha scelto di non seguire il miraggio di fantomatiche terapie, che non hanno alcun fondamento. Ma di battersi per la causa giusta di Telethon. Nel nostro Paese, infatti – constata Ballabio – è tutto più difficile. E non è solo una questione di ignoranza. Credo sia anche il fatto che gli italiani tendono ad avere scarsa fiducia nelle regole”.
Redi: “Solo la Germania nazista ha proibito la sperimentazione animale”. Si può davvero prescindere dal modello animale nella ricerca, specie sulle patologie rare? “L’impresa scientifica si è fatta carico del problema della sperimentazione animale e lo sta risolvendo: dagli Anni ’60 del secolo scorso l’impiego degli animali si è più che dimezzato e la tendenza è proprio in questa direzione – spiega Carlo Alberto Redi, accademico dei Lincei e professore di Zoologia e Biologia dello Sviluppo all’Università di Pavia -. A titolo di promemoria storico varrà la pena ricordare che l’unico Paese al mondo che abbia mai proibito del tutto la sperimentazione animale è stata la Germania nazista. E varrà la pena chiedersi, inoltre, come avremmo mai potuto sviluppare la teoria dei germi se Pasteur non avesse potuto iniettare antrace nelle pecore, o eradicare la poliomielite se non avessimo potuto usare gli animali per sviluppare dei vaccini. Per non dire – conclude il biologo pavese – dei trapianti di organi e di tessuti, della scoperta della penicillina o della insulina isolata nei cani, nel 1922, per la cura del diabete”.
Aiuti: “Assolutamente indispensabile per la ricerca”. Convinto che a tutt’oggi non si possa fare a meno della sperimentazione animale anche Fernando Aiuti, che la giudica “assolutamente indispensabile per lo studio della maggioranza delle patologie del sistema nervoso, neoplastiche, autoimmuni, metaboliche come il diabete e tante altre. Per fare un esempio – puntualizza l’immunologo – non ci sarebbe la nuova strada della terapia genica grazie agli investimenti di Telethon senza la sperimentazione animale, perché non si riuscirebbe a capire se un vettore che porta il gene sano e lo sostituisce a quello malato sarà efficace, se l’effetto durerà nel tempo, se scatenerà invece alcuni tumori, o se sarà seguito da una risposta immunitaria o da un’infiammazione”.
Ballabio (Telethon): “Curati bimbi con cecità ereditaria”. Proprio dall’esperienza di Telethon sulle malattie genetiche si possono ricavare molti esempi di un prezioso contributo della sperimentazione animale, sia nella comprensione della malattia che nel miglioramento delle condizioni di salute dei pazienti. “Purtroppo esistono migliaia di tipi diversi di patologie ereditarie, molti dei quali colpiscono i bambini – afferma Andrea Ballabio -. Abbiamo, però, la fortuna di avere a disposizione animali di laboratorio (nella maggior parte dei casi si tratta di topi) che hanno esattamente lo stesso difetto genetico presente nell’uomo. Questi modelli di malattia sono preziosissimi, sia per comprendere il meccanismo della patologia che per poter sperimentare nuove terapie. Di esempi in cui i modelli animali sono serviti a sperimentare una terapia per malattie ereditarie se ne potrebbero fare tantissimi – sottolinea lo studioso -. Mi limiterò a farne uno che riguarda alcuni studi effettuati, grazie al supporto di Telethon, nel nostro istituto, relativi a una forma di cecità ereditaria denominata Amaurosi congenita di Leber. Presso il Tigem di Napoli – spiega Ballabio – abbiamo sperimentato un nuovo tipo di terapia genica in un modello murino di questa malattia. Contemporaneamente, alcuni ricercatori americani, in collaborazione con noi, hanno condotto la stessa sperimentazione in alcuni cani affetti dalla medesima patologia. I risultati hanno dimostrato un significativo recupero della capacità visiva sia nei topi che nei cani. Progressi grazie a i quali – puntualizza con orgoglio il direttore del Tigem – è stato possibile ricevere l’autorizzazione ad applicare la terapia ai bambini malati, che hanno così potuto recuperare la vista”.
La sperimentazione animale si è rivelata preziosa anche nella ricerca sull’Aids. Tre mesi fa la prestigiosa rivista Nature ha pubblicato uno studio di un team di ricercatori americani, che ha messo a punto un vaccino contro il virus da immunodeficienza nei macachi (Siv) – l’equivalente dell’Hiv per le scimmie – in grado di controllare l’infezione anche dopo la sua diffusione nell’ospite, riportando la carica virale entro valori non rilevabili neanche con i metodi diagnostici più raffinati. Premessa, questa, di una futura guarigione. Un risultato che, secondo la rivista britannica, sarà importante nella ricerca di un vaccino contro l’Aids (L’abstract dello studio)
“Le scimmie hanno il sistema immunitario per il 98% identico a quello umano. Per questo tutti i vaccini attualmente in uso sono stati sperimentati in questi animali prima dell’uomo, compresi i nuovi prototipi contro l’epatite C e l’Aids – spiega Aiuti -. Proprio per quanto riguarda questa patologia, da progressiva e mortale nel 100% dei casi negli Anni ‘80 e ‘90, oggi è diventata curabile con un miglioramento della qualità della vita e della durata della vita media di diversi decenni. E se oggi i farmaci hanno minori effetti collaterali nell’uomo, è proprio grazie alla sperimentazione animale. Personalmente – precisa lo scienziato – nella mia vita ho fatto decine di sperimentazioni di nuovi farmaci antivirali, e non avrei mai somministrato un nuovo farmaco salva vita nell’uomo, se non avessi letto prima i risultati ottenuti negli animali”.
Aifa valuta scritta su confezioni farmaci che avverta sui test. Nel suo letto d’ospedale a Caterina in questi giorni non arrivano, pertanto, solo gli insulti degli animalisti, ma anche la solidarietà degli scienziati che difendono la sperimentazione animale. E, nello stesso tempo, alcune proposte concrete. L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha fatto sapere che farà propria la sua richiesta di discutere con tutta la filiera farmaceutica la possibilità di mettere sulle confezioni la scritta: “Questo medicinale è stato testato sugli animali”. Una decisione, secondo Aiuti, che “dovrebbe essere discussa almeno a livello europeo. Personalmente la ritengo poco significativa sul piano dell’opinione pubblica generale, anche perché ogni persona può già decidere se curarsi o rifiutare le terapie se maggiorenne”.
Più possibilista si mostra, invece, il direttore del Tigem: “Credo sia una proposta interessante ed anche legittima. In questo modo ci si renderà conto che la stragrande maggioranza dei farmaci in circolazione sono stati sviluppati con sperimentazione animale. D’altra parte – sottolinea Ballabio – penso anche che sarebbero rarissimi i casi in cui genitori di bambini affetti da gravi patologie rinuncerebbero a far curare il proprio figlio solo perché il farmaco è stato sviluppato sulla base di sperimentazione animale. È facile – puntualizza lo studioso di Telethon – fare campagne anti-sperimentazione animale quando non si è stati a contatto con bambini affetti da gravi malattie genetiche. A mio avviso la questione non è se utilizzare o no la sperimentazione animale che è, ripeto, un approccio indispensabile ed imprescindibile della medicina sperimentale. La questione semmai – chiosa Ballabio – è come farlo nel modo giusto seguendo le regole giuste”.