La giornalista Michela Monte è autrice del documentario prodotto per il progetto Stop Blanqueo dove riflette su metodi e strumenti utili al contrasto della criminalità organizzata. L'allarme sempre più concreto lo lanciano le istituzioni locali: "Prevenzione e attenzione sul territorio"
Prezzi troppo bassi e concorrenza sleale di albergatori ‘atipici’ mettono a rischio la sopravvivenza della pensione familiare in Riviera. Lo racconta “3 stelle in contanti“, un breve documentario di Michela Monte, prodotto per il progetto Stop Blanqueo, inchiesta giornalistica indipendente per riflettere su metodi e strumenti utili al contrasto alla criminalità organizzata in ambito economico. L’iniziativa per contrastare il riciclaggio (blanqueo in spagnolo) è stata realizzata in collaborazione con la Provincia di Rimini e l’associazione Ilaria Alpi all’interno del progetto europeo Dipafec. Tra i partner, inoltre, vi sono Unioncamere Emilia Romagna, il Comune di Bellaria Igea Marina e l’università di Rimini.
Nel video girato dalla giornalista Monte si parla dei cosiddetti ‘alberghi della mafia‘, di chi compra in contanti e di chi vende senza fare troppe domande, a scapito dell’intero settore. Il fenomeno infiltrazione mafiosa è indagato a tutto tondo: si parte dalla dimensione locale ma con lo sguardo rivolto all’Europa, per creare un modello di contrasto alle mafie da esportare in altri contesti turistici con le stesse problematiche della riviera romagnola, come ad esempio Marbella in Spagna.
Di riciclaggio connesso agli interessi della criminalità organizzata si è parlato a inizio dicembre 2013 in una riunione plenaria tenutasi alla prefettura di Rimini. Erano presenti, oltre al viceprefetto Clemente Di Nuzzo, i rappresentanti dell’associazione italiana albergatori, della camera di commercio, dei Comuni della riviera riminese e degli ordini dei commercialisti, notai, ingegneri, architetti. È stato chiesto alla guardia di finanza e alla Provincia di effettuare controlli su quegli hotel dalle gestioni “poco limpide”, alberghi che praticano prezzi troppo bassi. E sono proprio queste misere tariffe (si arriva anche a camere a 15 euro con pensione completa) che si configurano come un chiaro sintomo di infiltrazione mafiosa.
Una possibile soluzione è stata avanzata da Stefano Vitali, presidente della Provincia: indicare il prezzo minimo ed eliminare quello massimo, proposta che pare essere stata accolta favorevolmente in Regione dall’assessore al turismo Maurizio Melucci, un riminese che della mafia a casa sua non vuole sentire parlare: “L’immagine che la riviera romagnola sia in mano alla mafia la ritengo una bella barzelletta”, afferma nel video di Michela Monte e continua: “A me non risulta infiltrazione mafiosa, nel senso classico del termine, come succede da altre parti”.
Durante l’incontro in prefettura Patrizia De Rinaldis, presidente di Aia, ha messo in luce la pericolosità della pratica del dumping, la vendita di beni o servizi sottocosto, che nel settore del turismo è attuata soprattutto da parte di gestori che vengono a investire i loro soldi da fuori Rimini. Il problema autentico, per la presidente dell’associazione di categoria, è quello di informare e sensibilizzare i proprietari degli immobili turistici, in modo da evitare la “svendita delle gestioni”, per far fronte alla quale ha chiesto all’ordine dei notai e dei commercialisti di redigere un decalogo sui contratti di affitto d’azienda.
Una proposta invece che attende il vaglio dell’Aia è quella di accogliere nelle sue sedi provinciali delle urne, in cui gli albergatori possono depositare questionari anonimi, nei quali raccontare le pressioni eventualmente subite. Il progetto Dipafec intenderebbe così mappare la percezione della criminalità organizzata nel settore alberghiero, primo passo per creare, con la collaborazione della sede riminese dell’Unibo, un centro di documentazione sul riciclaggio.
In occasione della giornata internazionale contro la corruzione, la presidente della commissione antimafia europea Sonia Alfano ha ricordato che, mentre l’Italia si è piazzata al 69° posto nella classifica di “Transparency international” (in Europa soltanto Bulgaria e Grecia sono riuscite a fare peggio), il Parlamento Europeo ha approvato il testo della commissione Crim sul crimine organizzato, il riciclaggio di denaro e la corruzione. Solo quest’ultima, avverte l’europarlamentare “costa all’Italia circa 60 miliardi di euro l’anno”.
Il tema del denaro sporco è strettamente legato a quello dei paradisi fiscali (Rimini è a pochi km da San Marino) e al segreto bancario. “La convenzione Ocse del 2009 -spiega il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti– prevede accordi bilaterali e uno scambio d’informazioni subordinato a una valutazione della richiesta da parte dello Stato che dove fornire tali informazioni. Questo modello della convenzione Ocse non sembra sufficiente ai fini di un’efficace azione di antiriciclaggio, perché comunque subordina, caso per caso, la scelta se fornire o non fornire le informazioni, cioè se far cadere o no il segreto bancario. Secondo le opinioni diffuse anche a livello europeo dovrebbe venire meno il principio del segreto bancario e dovrebbe affermarsi un automatismo nello scambio d’informazioni che attualmente non esiste ancora”.
Intanto anche a Rimini non manca chi propone di istituire, come nella provincia di Modena, una carta etica delle professioni intellettuali. Un documento che prevede al suo primo articolo di rifiutare “ogni rapporto con organizzazioni criminali, mafiose e con soggetti che fanno ricorso a comportamenti contrari alle norme di legge e alle norme etiche per sviluppare qualsiasi forma di controllo e vessazione”. Iniziativa lodevole che rischia di non essere supportata da un’educazione alla legalità sufficiente e dunque di non essere corale.